La firma di Fellini nel film sull’esodo dall’Istria martoriata

Il futuro regista, con Majano, scrive la sceneggiatura  La storia di Berto, un meccanico italiano che vive a Pola

In occasione del Giorno del Ricordo, oggi alle 15, la Cineteca del Friuli riporta sullo schermo del Cinema Sociale di Gemona La città dolente, uno dei pochissimi film che hanno come soggetto l’esodo degli italiani dall’Istria nell’immediato dopoguerra.

A fronte di tante pellicole sulla seconda guerra mondiale, si contano sulle dita di una sola mano quelle che hanno affrontato questo tragico tema.

Realizzato nell’autunno del 1948 e diretto da Mario Bonnard, La città dolente racconta la storia di Berto, un meccanico italiano di Pola che, quando la città, in base al Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, viene assegnata alla Jugoslavia, a differenza della stragrande maggioranza degli abitanti che parte per l’Italia, influenzato da un amico che ha optato per la Jugoslavia, decide di rimanere, nella speranza di diventare padrone dell’officina in cui lavora.

Ma in breve tempo è costretto a ricredersi: nella città quasi deserta non c’è lavoro; il clima instaurato dagli uomini di Tito è oppressivo. Berto si ritrova isolato, emarginato, in una situazione di incertezza sempre più angosciante. In lui non c’è alcuna spinta ideologica nei confronti del nuovo sistema comunista jugoslavo (in realtà la parola comunista non viene mai pronunciata nel film), come capisce Lubitza, la funzionaria del partito (interpretata dall’attrice americana Constance Dowling, all’epoca nota per la sua relazione amorosa con Cesare Pavese) la quale, nell’ebbrezza di una festa in una notte d’estate, lo seduce, volendo fare di lui uno strumento da usare per il partito. Ma quando, la mattina dopo, l’uomo si sfoga rivelandole il suo disgusto per il nuovo regime, lei lo fa arrestare ed inviare a un campo di lavoro per essere “rieducato”. Riuscito a fuggire, Berto vaga nelle campagne istriane e, raggiunta la costa, trova una barca con cui cerca di raggiungere l’Italia, ma viene ucciso dalle guardie di frontiera.

Come molti altri film di quegli anni, La città dolente ha un incipit di carattere apertamente realistico, utilizzando scene di documentari relativi all’esodo filmate da Enrico Moretti e Gianni Alberto Vitrotti (1922-2009), operatore triestino, figlio di Giovanni, uno dei pionieri del cinema muto italiano. Durante l'occupazione anglo-americana di Trieste (1945-1954) Gianni Alberto Vitrotti lavorò come reporter per l’agenzia di stampa americana Associated Press Photo e poi come operatore per la Nbc e per la Universal Film Newsreel di New York, realizzando cortometraggi sul problema giuliano-dalmata, tra cui quelle riprese del recupero dei corpi degli infoibati nelle voragini carsiche poi frequentemente riutilizzate in molti documentari televisivi su questo tragico tema.

In collaborazione col fratello Franco, Gianni Alberto Vitrotti nel 1947 realizza il documentario Addio mia cara Pola le cui drammatiche immagini sull'esodo non solo danno l’avvio a La città dolente, ma molto probabilmente hanno influenzato la nascita del film stesso, come le fotografie del cimitero di Merna (presso Gorizia) diviso dalla linea di confine tra Italia e Jugoslavia hanno dato lo spunto a un'altra pellicola sulle tragedie del confine orientale: Cuori senza frontiere (1950). Se i nomi degli attori di La città dolente sono oggi dimenticati, nei titoli di testa del film troviamo nomi che sarebbero entrati nella grande storia del cinema italiano, come Federico Fellini e Anton Giulio Majano, che lavorano alla sceneggiatura, e il giovanissimo Tonino Delli Colli come direttore della fotografia.

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