La Divina commedia: il più antico codice friulano venne inciso su una campana

Nel 1423 a Gemona venne scolpita una strofa del Paradiso. In Friuli i testi erano sei: due non si trovano più in patria

UDINE. Nel 1921, sesto centenario della morte di Dante, a Udine si tennero alla Biblioteca civica una serie di conferenze organizzate dalla locale Accademia con un tale successo che «per limitare la ressa del pubblico si fece pagare una lira l’ingresso». In tale occasione la vexata quaestio della presenza di Dante in Friuli non fu risolta in forma definitiva.

Il più antico codice, certo, friulano della Divina Commedia non è scritto su pergamena, ma sul bronzo. Nel 1423 la comunità di Gemona faceva fondere una campana per la sua chiesa maggiore di S. Maria e, sopra, vi faceva incidere la prima strofa del canto XXXIII del Paradiso, che leggo nella sua ortografia: Virgine madre figla del tuo figlo/ humile e alta piu che creatura/ termene fixo delo eterno conseglio».

Pieri Piçul (pseudonimo di Pietro Londero), ricostruisce la storia della campana, affermando: «Ža a cjaval dal’300 a Glemone, e in cerz altris paîs furlans, a’vivevin purtropis fameis florentinis. Si scrupule che qualchidune di lôr’e cognosses la vite e la vore di Dante, il grant compaesan e forsit compagn di profugance; si scrupule che qualchedun di chei florentins, siôr e studiât, al vebi fat copiâ, tignût pa sé o regalât une copie de Comedie».

(Già a cavallo del 1300 a Gemona, e in qualche altro luogo del Friuli, vivevano numerose famiglie fiorentine. Si suppone che alcune di esse conoscessero la vita e l’opera di Dante, il grande conterraneo e forse compagno d’esilio; si suppone che qualcuno di quei fiorentini, ricchi e istruiti, abbia fatto copiare, tenuto per sé o regalato una copia della Commedia).

I codici friulani erano sei di varie epoche, completi, mutili o frammentari. Due non si trovano più in Friuli, il Cernazai legato al seminario del canonico Francesco, e poi venduto insieme agli altri manoscritti; il Claricini si trova ora– C.M. 937 con segnature – nella Biblioteca del Museo civico di Padova l’unico certamente scritto in terra friulana; mentre di un terzo codice, il Torriani, non si hanno notizie circa la sua collocazione attuale. Rimangono il Fontanini, il Florio, il Bartolini.

Riporto una descrizione di due codici, Florio: «Questo è di gran lunga il migliore di tutti i codici nostri del sec. XIV e, per quanto ne sappiamo, deve annoverarsi tra tutti i più corretti di quell’età»; Claricini: «Bel codice membranaceo, in 4°, del secolo XV, con la prima carta fregiata d’una miniatura che rigira i quattro margini e si congiunge alla lettera iniziale: dov’è colorita, di assai buone maniere, ma senza veruna somiglianza, la effigie del Poeta che guarda piuttosto in alto e tiene in mano il suo volume Ha minutissime, fitte e dottissime postille latine ne’margini e fra linea e linea».

Il Fontanini ms. 200 della Guarneriana non ha suscitato discussioni particolari. Il codice, generalmente assegnato al Trecento exeunte, di scrittura minuscola cancelleresca di mano toscana, comprende l’Inferno (con dei versi mancanti nel XXIV e XXV canto) e i primi tre canti del Purgatorio (con alcuni versi del IV).

Dal canto IV al VII della prima cantica nella colonna a destra appare la versione metrica in 506 distici latini, considerata la più antica del poema dantesco; i primi tre canti sono integrati da un commento in volgare, identificato con l’Ottimo; tutto il resto, tranne il IV, è accompagnato dal commento latino «benché non continuato» di ser Graziolo de’Bambaglioli, giudicato di «scarso valore», ma importante perché sembra venire subito dopo quello di Jacopo Alighieri, tra il 1323 e il 1324, ed essere quindi uno dei più antichi.

Il Purgatorio è privo di commento. Più complessa è la vicenda del codice Bartoliniano, ms. 50, che contiene tutte e tre le cantiche. Membranaceo, appartenuto dagli inizi del 1700 a mons. Filippo Del Torre di Cividale, poi vescovo d’Adria, acquistato dal conte Antonio Bartolini nel 1817, fu da lui assegnato alla metà del secolo XV e retrodatato verso la metà del XIV dal Witte.

Il codice venne fatto rilegare dal Del Torre e «il legatore non si fece scrupolo alcuno di ritagliarne i larghi margini e di sacrilegamente sopprimervi, con parte dei fregi, altresì preziose giunte antiche» afferma il Fiammazzo. La sua reprimenda fu tutta contro l’edizione manipolata del codice fatta da Quirico Viviani a Udine nel 1823 presso i Fratelli Mattiuzzi, il quale, accusato di aver «scientemente e artatamente» alterato il testo, era già stato etichettato di «ciurmeria»: «Dinanzi all’improntitudine di cotesto falsario perfino di facsimili dinanzi a sì sfacciata improntitudine basti un’esclamazione sola per cotest’editore: Miserabile! ».

Il Viviani (che per accreditare la presenza di Dante in Friuli, ospite di Enrico II, conte di Gorizia, aveva fatto disegnare in fronte al primo canto Dante nella grotta di Tolmino, giurisdizione del conte, e aveva capziosamente alluso al fatto che il codice «dovesse essere scrittura o dettatura dello stesso autore») non volle seguire per la sua edizione i consigli di nessuno, neanche quelli del prestigioso Vincenzo Monti; il più duro censore di tale edizione fu il Foscolo, che subodorò la frode; il più accurato poi fu il Witte, che dovette attendere fino al 1827 per poter consultare il codice, ormai passato alla Biblioteca Arcivescovile, che il Viviani gli aveva impedito di esaminare, e trovò, con un certa esagerazione secondo il Fiammazzo, che «quasi ogni verso era stato deturpato da correzioni e raschiature». –
 

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