Kleimen: «Cosí ho difeso la memoria di Eisenstein»

PORDENONE. Come dice David Robinson, direttore (ancora per qualche giorno) delle Giornate del Cinema Muto, in Naum Kleiman, a cui oggi, alle 10.45, nel Teatro Verdi di Pordenone, il festival dedica la consueta “memorial lecture”, Jonathan Dennis avrebbe sicuramente trovato «un vero fratello spirituale, nell’instancabile impegno a difesa del cinema come necessità sociale e culturale».
Dennis fu archivista esemplare e paladino della cultura del suo Paese, la Nuova Zelanda: in sua memoria, ogni anno, le Giornate organizzano un evento, declinato oggi nella proiezione del film tedesco del 2015 “Cinema: a public affair, sul Musei Kino di Mosca. Kleiman, arrivato ieri mattina da Mosca, è una figura storica e memoria del cinema russo e sovietico, autorità indiscussa su ogni aspetto della vita e del lavoro di Eisenstein. La “sua creatura” è appunto il Musei Kino di Mosca, che ha contribuito a fondare 26 anni fa.
Grazie a Kleiman, il museo, con il suo patrimonio di film, documenti storici, manufatti, è diventato una prestigiosissima istituzione culturale mondiale. Ma tutto ciò è avvenuto nella totale indifferenza della politica. «È una tradizione dei russi combattere contro il passato. Ciò che per noi è un tesoro - ci racconta Kleiman - per la politica non ha alcun significato.
Nomi sacri come Eisenstein, Vertov... In altri Paesi studiano e valorizzano l’epoca d’oro del proprio cinema, da noi no. Ciò che vogliono è soltanto un cinema che faccia soldi, come Hollywood». Un’indifferenza che è diventata ostilità nel 2005 quando il Musei Kino fu sfrattato e “pulizia culturale” di Stato nel 2014, quando il ministro della cultura russo Vladimir Medinsky, nominò un nuovo direttore: Larisa Solonitsyna, giornalista e direttrice del Sk Novosti, l’organo ufficiale dell’unione dei cineasti russi, “promuovendo” Kleiman a presidente.
Decisione irrevocabile, nonostante una petizione internazionale nata dalla stima e dall’affetto per Kleiman (da Eve Truffaut a Tilda Swinton, passando per Alberto Barbera). Tre mesi dopo Kleiman e i suoi venti collaboratori - tutta gente, come scrisse Hollywood Reporter, convinta che il cinema sia utile per creare una società libera e civile - rassegnarono le dimissioni.
Fu lo stesso Kleiman a convincere gli archivisti a tornare al proprio posto, «per non vanificare tanto lavoro». Per lui e per alcuni altri si è però fatta strada un nuovo progetto: accettando la proposta del Museo Puskin, che ha accolto il Musei Kino sotto la propria ala, è stato avviato un percorso di abbinamento dell’arte cinematografica alle altre espressioni.
«Quando rientrerò a Mosca, la sera del 12 ci sarà già la prima proiezione, il film “The death of a tea master”, abbinato a una mostra di ceramiche antiche da tè giapponesi. Abbiamo in programma una mostra su Caravaggio e relative proiezioni alla “luce” nel cinema, stiamo cercando di organizzare una retrospettiva su Luciano Emmer…». Ha una tale positiva energia Kleiman, con i suoi 78 anni portati benissimo, che considera la sua «una vita fortunata» ed è certo che nel suo Paese si affermerà la libertà d’espressione.
«Ho vissuto il periodo migliore della storia del cinema, conosciuto persone eccezionali in tutto il mondo. Uno dei miracoli del cinema è quella famiglia invisibile che si crea oltre la tua generazione, oltre il tuo Paese».
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