John Landis: «Il cinema di oggi imita il Muto»

PORDENONE. Nulla di che, soltanto un viaggio e una meta. Con gentile consorte al fianco. Nessun film da accompagnare, nessun tributo, zero riflettori addosso.
John Landis è pur sempre John Landis, mica Romeo Scartellozzi. È un uomo cult, per dire. Lo spettatore alle Giornate del Cinema Muto voleva fare e lo spettatore alle Giornate ha fatto. «Inutile - prende slancio - il cinema l’hanno inventato i signori degli anni Venti e Trenta, ciò che è venuto dopo è pura imitazione».
Elegante, incravattato, travolgente come i suoi Blues Brothers, divertente nei gesti e nei modi di narrare come Animal House. Così, in un tipico uno-due pugilistico, abbiamo srotolato un paio fra gli immortali, messi su quand’era un ragazzo di Chicago con soli ventotto anni sulla groppa.
«Allora girai con l’irruenza giovanile senza vedere nel domani, tanto meno nel dopo domani. Piaceranno? Boh. A me piacevano. Quindi. Uscì il primo e fu un successo. Piovve sul mercato il secondo, idem, anzi ancor di più. Arrivò il terzo, (Un lupo americano a Londra, ndr) altro trionfo. Entusiasta, pigliai la rincorsa per il quarto Tutto in una notte e tac, la critica mi stroncò. Adesso, pare, mi abbia riabilitato. Cosa gli avrà fatto cambiare idea non lo so».
Uno diligente lui. Fedele alla missione in sala si è visto parecchio. L’american man in Friuli si è sciroppato d’un fiato persino i Miserabili di sei ore e fischia. Oltre ad assaggiare antichità varie ed eventuali. D’altronde, questa edition number trentaquattro è zeppa di rarità e qualunque cinefilo, soprattutto se passa l’Oceano, s’abbevera e si sazia. La calamita pordenonese è stato David Robinson, all’ultimissimo valzer da direttore artistico.
Ammette il regista: «Ci provava da lustri, l’amico qui accanto a me, e stavolta mi ha convinto. Il piacere di partecipare non è mai scemato, semmai è lievitato. Non hanno mai funzionato gli incastri, ecco cos’è accaduto. Ed è elettrizzante respirare quest’aria».
L’inchino al silent film di The Artist ha, in qualche modo, risvegliato la voglia di puntare agli inizi del secolo il timer della DeLorian di Ritorno al futuro. Landis svela la consistenza della sua filmografia: 150 bobine. Non tutti lungometraggi di fama, sarebbe più marziano di quel che è. Forse, nella collezione, ci entra pure un “senza parole”? «Qualcosa in 8 e in 16 millimetri è venuto fuori. Spieghiamoci: in realtà i dialoghi sarebbero superflui. Due bravi attori che fingono di essere innamorati, lo fanno capire dagli occhi, non serve sprecare fiato».
E si va sul concreto/personale. Forse il signor John ha in tasca qualche progettino. Se fosse così gentile... «Lo schermo del mio computer è sempre luminoso, non smetto mai di riversare dentro concetti e pensieri. È cambiato il modo di vedere e di fare, bisogna tenerne conto. Basta uno smartphone, volendo, per entrambe le opzioni. A me no. Io pretendo lo schermo grande, solamente così è arte completa».
Anni fa Landis si lasciò tentare da una pellicola su Berlusconi. Vero o falso? «È falso. Come lei ben sa i giornalisti spesso scrivono fesserie. Anche se non mi dispiacerebbe affatto. Voi avete il cavaliere, simpatico e spaventoso, e noi Donald Trump».
Allora restiamo coi piedi dentro un terreno minato, proseguendo con lo sfoglio dei si dice. Inevitabilmente un Belushi d’annata, genio feticco di Landis, diventa conversazione. Un tipino difficile da guidare. Leggendo la biografia, il ragazzo non risparmiava follie. «Anche qui mi tocca smentire, almeno in parte. Una persona meravigliosa, e lo sottolineo, con un talento pazzesco. Sul set di The Blues Brothers, è vero, John cominciò il suo mesto cammino verso l’oblio. Alcol e droghe lo stavano allontanando dalla vita e in questi casi, pur amandolo, ci si ritrova maledettamente impotenti».
Un commiato roboante, tirando in ballo Fellini, Hitchcock, Capra, Pontecorvo, Visconti. «Strinsi la mano ai grandi, ad alcuni di loro ancor prima di diventare leggenda. Bernardo Bertolucci e Dario Argento li incontrai in una location di C’era una volta il West. Erano due impeccabili critici in cerca di notizie».
E Hollywood, Landis? «Non è più la stessa. Si passa dai kolossal da cento milioni di dollari ai film da pochi spiccioli. Spesso più affascinanti di quelli costosi».
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