IL TERREMOTO E L’INFINITO DI LEOPARDI

di FERDINANDO CAMON È degna di ammirazione la notizia che tra i beni meritevoli di salvezza, che portano via dai luoghi del terremoto, c’è il manoscritto dell’Infinito di Giacomo Leopardi. L’Infinito...
Di Ferdinando Camon

di FERDINANDO CAMON

È degna di ammirazione la notizia che tra i beni meritevoli di salvezza, che portano via dai luoghi del terremoto, c’è il manoscritto dell’Infinito di Giacomo Leopardi. L’Infinito è una delle poesie più conosciute nel mondo. Ci sono grandi autori del mondo che sono venuti a Recanati, dove Leopardi era nato e vissuto, per vedere il testo scritto a mano dell’Infinito, farsene una fotocopia, portarsela via per metterla nello studio, sul tavolo, e guardarla per il resto della vita. Tra questi autori (ne scelgo uno venuto dalle sponde del Pacifico) c’è Pablo Neruda, cileno.

Sono stato nella casa di Leopardi. Sono stato nella casa di Neruda. In ambedue ho visto il manoscritto dell’Infinito incorniciato, chiarissimo e, per noi che lo sappiamo a memoria, stupefacente. Qui apriamo un discorso che può apparire letterario, un dialogo tra studiosi della letteratura, mentre è un discorso che ha a che fare con l’uomo, come funziona l’uomo, quali meccanismi di conoscenza e di espressione agiscono dentro di lui.

Di fronte alla casa del Leopardi, a Recanati, si alza un colle, cinto da una siepe. Giacomo va lì, si siede, ammira e ascolta. Non vede tutto, perché la siepe glielo nasconde. Ma vede tutto nel pensiero, interminati spazi e profondissima quiete, e si sgomenta. Su di lui stormiscono le fronde, e lui paragona quel profondissimo silenzio a questo fruscio, ed è come se confrontasse il silenzio dell’eterno, del passato, delle epoche morte, al rumore e al frastuono del presente. Questa sensazione è un tuffo nell’immensità, e il suo pensiero vi s’annega, con un senso di dolcezza.

La parola-chiave, drammatica, rivelativa, è “immensità”: “tra questa / immensità s’annega il pensier mio”. Gli studenti la leggono e la imparano a memoria così.

Ma nel manoscritto che adesso vien salvato, e che sta in fotocopia nella casa di Neruda, la parola “immensità” è tagliata da uno striscio orizzontale, e sopra è corretta, sempre di pugno del Leopardi, con “infinità”. Quindi Leopardi aveva scritto di getto “immensità”, poi s’è pentito e ha messo “infinità”, poi s’è ri-pentito e ha messo, definitivamente, “immensità”, che è la parola che noi leggiamo oggi.

Leopardi ha urtato per anni contro un limite dell’intuizione umana, e un limite della capacità umana di pensare ed esprimere il non-misurabile, il senza-confini, l’immenso. “Immenso” vuol dire che non si può misurare. È il termine che nelle religioni indica Dio, e nella Fisica moderna indica lo spazio incalcolabile perché in continua espansione. Se voi aveste potuto chiedere a un bambino, cinquant’anni fa, qual è il rumore di un corpo che entra a grande velocità nello spazio, il bambino avrebbe risposto “pum”, perché conosceva il fucile e il cannone. Oggi risponde con un sibilo, perché conosce il missile e l’astronave.

“Immensità” (a differenza di “infinità”) ha quella “s”, che la fonologia chiama “consonante sibilante”. È lei che allarga lo spazio in tutte le direzioni, e lo rende im-misurabile. Non sto dicendo che Leopardi l’avesse compreso. Sto dicendo che per anni oscillava da un termine all’altro, come una bussola impazzita oscilla fra attrazioni diverse. Ma alla fine s’è fermato nella direzione giusta. Quella parola scritta a mano e poi cancellata e sovrascritta, indica la difficoltà del passaggio tra due idee di Fisica e di Metafisica, due idee del Tutto. Il manoscritto non indica il punto d’arrivo, indica anzi un ritorno all’indietro. A ogni nuova verità si arriva così, andando avanti-indietro, fra contraddizioni. Galileo affermò che la Terra si muove. Portato in processo, ritrattò. Uscendo dall’aula, batté il calcagno per terra e ripeté: “Eppur si muove”. Qui siamo alla ritrattazione di Leopardi, un attimo prima che batta il calcagno per terra. Perciò non è un documento che conta per la lingua di Leopardi, ma per la lingua dell’umanità. (fercamon@alice.it).

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