Il silenzio di Pio XII: «Nel dopoguerra non comprese il dramma ebraico»

Il saggio dello storico Andrea Riccardi su Chiesa e Olocausto: «Il Papa diplomatico non ne ha mai parlato apertamente»

Valerio Marchi

Terminiamo oggi, con il volume di Andrea Riccardi “La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei” (Laterza, 2022), la rassegna dei tre finalisti della decima edizione del Premio Friuli Storia. La giuria dei lettori terminerà i suoi lavori il 31 agosto. La cerimonia di premiazione è prevista il 28 settembre al Castello di Udine, nel Salone del Parlamento. Il Premio è realizzato con il contributo di Regione, Fondazione Friuli, Comune di Udine e Banca di Udine.



Era il 1963 quando, con l’opera teatrale “Il Vicario” (“Der Stellvertreter”), Rolf Hochhuth imputò apertamente a Pio XII (al secolo Eugenio Pacelli) un colpevole riserbo sugli acclarati crimini nazisti, in primis quelli contro gli ebrei. In realtà la questione del silenzio (o silenzi, perché relativi a più ambiti: basti pensare ai cattolici polacchi che proprio dal papa si sentirono traditi) era già serpeggiata sia nel dopoguerra sia durante il conflitto, allorché lo stesso Pio XII, intimamente tormentato, s’interrogava sulla sua strategia; ma è dall’inizio degli anni ‘60 che il tema è stato affrontato di petto da molti, non senza polemiche.


Intervenne anche Pier Paolo Pasolini, il quale, nella poesia “L’enigma di Pio XII” (1971), fece dire al pontefice: «Sono un Papa politico, e perciò enigmatico… della carità so solo, come dice l’autorità, che c’è»; ma già in una poesia precedente (“Il papa”), scritta poco dopo la morte di Pio XII (1958), gli aveva idealmente indirizzato versi di questo tenore: «Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto: non c’è stato un peccatore più grande di te».


Andrea Riccardi ha potuto finalmente avvalersi dell’enorme documentazione del dolore di ebrei, prigionieri e tanti altri, custodita dagli Archivi Vaticani (aperti, con discutibile lentezza, solo nel 2020). L’ampiezza delle fonti rende giustizia alla complessità di un’epoca che mise a durissima prova il Vaticano, descritto come “un’isola in un’Europa controllata dalla Germania nazista” e “in una condizione marginale nel quadro internazionale”, per quanto forte del prestigio storico della Chiesa e dell’attaccamento delle masse cattoliche all’istituzione papale.


Ciò detto, Riccardi non intende assolvere o condannare, bensì cercare di comprendere, uscendo dalla spirale polemico-apologetica (sarà il lettore, poi, a farsi una propria idea): approccio più che mai irrinunciabile in un contesto di situazioni estreme, di portata inaudita. E siccome “dal campanile non si vede la chiesa, si vede il mondo”, il suo è sì un libro sulla Chiesa e sul Vaticano, ma anche sull’orrore della Shoah e di una guerra “totale” durante la quale, peraltro, silenzi e omissioni non furono un’esclusiva del Vaticano: si pensi al “silenzio degli Alleati” (R. Breitman) e ai mancati bombardamenti delle ferrovie che da tutta Europa portavano ai campi, e dei campi stessi.


Fra gli alti prelati non mancarono atti di eroica protesta: ricordiamo, fra tutti, il vescovo bulgaro Cirillo, che minacciò di sdraiarsi sui binari della stazione di Plovdiv, qualora fosse partito un treno per Auschwitz carico di ebrei. E chissà, forse un altro pontefice avrebbe agito altrettanto drasticamente, anche in circostanze come quelle occorse “sotto le finestre del papa” (la razzia degli ebrei di Roma).


Ma Pio XII, politico e diplomatico per formazione, con la sua imparzialità di “padre comune” (che non voleva essere neutralità o indifferenza rispetto ai dolori di tutti “i figli in lotta”, e nondimeno si prestava a diventare una sorta di gabbia), intendeva tanto evitare a tutti i perseguitati mali peggiori, garantendo intanto consistenti azioni di salvataggio, quanto preservare le opportunità di mediare e negoziare in vista della pace.


Quel che più ha colpito Riccardi è il silenzio nel dopoguerra, figlio di “tanti elementi”. “La Santa Sede dopo la guerra non ha in genere compreso, in senso profondo, quel che ha rappresentato la Shoah” e Pio XII, senza più rischi o controindicazioni politiche, e nonostante la coscienza di nuovi rapporti con l’ebraismo che stava maturando in alcuni settori cattolici, “non ha parlato apertamente del dramma ebraico, di cui la Chiesa era stata testimone e nel quale, talvolta, aveva rappresentato l’unica realtà amica per i perseguitati”. Il Concilio Vaticano II, poi, avrebbe sancito una svolta fondamentale, ma resta tuttora “una realtà che interroga la Chiesa cattolica, anzi le Chiese cristiane e l’umanità europea… una sconfitta dell’umanità nel suo complesso e del cristianesimo».

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