Il ruolo centrale di Aquileia: «È stata l’officina della Mitteleuropa»

Gabriele Pellizzari per Avostanis a San Vito al Tagliamento: «I mosaici dell’aula sud sono una grande catechesi»

Fabiana Dallavalle
Un’immagine dei mosaici in basilica ad Aquileia, al centro dell’appuntamento di Avostanis a San Vito al Tagliamento; a destra Gabriele Pelizzari
Un’immagine dei mosaici in basilica ad Aquileia, al centro dell’appuntamento di Avostanis a San Vito al Tagliamento; a destra Gabriele Pelizzari

AQUILEIA. Gli ultimi appuntamenti della trentaduesima edizione di Avostanis, rassegna dell’associazione culturale Colonos, approdano a San Vito al Tagliamento e ad Aquileia. Oggi, venerdì 8, alle 18.00, nell’Antico ospedale di Santa Maria dei Battuti, la conferenza “Ricorderò chi sono: Aquileia e il futuro della memoria”. Protagonisti Gabriele Pelizzari, professore associato al Dipartimento di studi letterari, filologici, linguistici all’Università di Milano e autore tra gli altri del libro “Dalla salvezza di pochi alla salvezza universale” (Forum ), in dialogo con il direttore del Messaggero Veneto, Paolo Mosanghini.

Professore, ci anticipa il senso di un approfondimento che metterà al centro l’esercizio della memoria come principio trasformativo di conoscenza del proprio presente e del futuro di un’intera regione?

«Se vogliamo trovare le radici della nostra identità, Aquileia è il paradigma perfetto di un ideale di memoria alto. I tratti salienti del cristianesimo aquileiese erano la forte matrice giudaica, preservata grazie a una tradizione cristiana dai tratti fortemente conservativi, consapevole di sé, colta, capace di esprimere il primo “didascaleion” cristiano d'Occidente – una sorta di Università teologica ante-litteram. Aquileia per via della sua identità, può essere vista come l’officina della Mitteleuropa».

Possiamo immaginare che la Chiesa di Aquileia ci abbia lasciato un’eredità in cui i friulani possano riconoscersi e che la multiculturalità giudaico-cristiana aquileiese costituisca un modello di integrazione tra culture e una sfida ad affrontare, su nuove basi, il dialogo tra i popoli che si affacciano sul Mediterraneo?

</CF>«Senza dubbio il cristianesimo aquileiese delle origini fu contraddistinto da un'identità forte – consapevolmente ed esplicitamente rivendicata ancora nel V secolo da Rufino – che però si declinò sempre nel ruolo di grande “interlocutrice”. Sapere chi era non frenò, anzi stimolò la Chiesa di Aquileia a dialogare con tradizioni cristiane altre: sapendo mediaresia nella condivisione del valore (pensiamo alla tradizione origeniana, preservata in larga parte grazie agli Aquileiesi) sia nella gestione delle crisi (sin dalla chiamata, nel II secolo, dei fratelli aquileiesi Erma e Pio a Roma, rispettivamente quali profeta e vescovo di quella comunità, evidentemente per risolvere un momento di tensione interna alla Chiesa romana). Il Friuli, che di questa capitale del cristianesimo delle origini è erede, può oggi riprendere questo ruolo di mediazione: custodendo consapevolmente i caratteri della sua identità – e delle sue origini – e sfruttando la propria storia per farsi fantasia del futuro europeo e mediterraneo, in piena continuità con il ruolo rivestito dalla sua madre, l'Aquileia cristiana».

Il 9 settembre ad Aquileia, nelle due visite già sold out, lei guiderà i visitatori alla scoperta della più estesa opera musiva cristiana di tutto l’Occidente. Per gli antichi cosa rappresentava?

«I mosaici dell’aula sud sono una grande catechesi. Erano un sussidiario per immagini per chi avrebbe ricevuto il Battesimo, capisaldi dei concetti della professione di fede. Alla base di tutto c’è il ciclo di Giona, una prefigurazione della Pasqua di Gesù. Il Buon Pastore, che sta al culmine di una lettura della storia che possiamo definire ecclesiologica. E la grande iconografia del Battesimo, presentato sia come condizione per la partecipazione del singolo alla comunità sia come chiave per entrare nel Regno dei Cieli».

Il Friuli può dirsi erede e interpretare in un modo diverso il suo ruolo nel mondo europeo?

«Posso confidarle solo dei sogni. Io vorrei un Friuli molto più aquileiese: di quell’Aquileia che, per molti versi, introdusse nell'Occidente cristiano la pluralità; di quell'Aquileia che seppe stare con la sua identità in un mondo che si stava "cristianamente globalizzando"; di quell'Aquileia che fu presidio della memoria e officina del futuro; di quell'Aquileia ponte tra le sponde del Mediterraneo antico e, insieme, grande laboratorio, con il suo Patriarcato, di quel concetto di mittel-Europa che certo non fu un conio romano. Certo, essere aquileiesi ha un prezzo: quello di accettare la sfida di non essere più periferia».

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