Il prezzo del pane e le violenze del ’19: spari sulla folla, 3 morti a Spilimbergo

Cent’anni fa in piazza San Rocco nel corso di una manifestazione intervenne l’esercito. Finí in tragedia

Le manifestazioni spesso violente e talvolta insanguinate contro il caroviveri erano eventi quotidiani in tutt’Italia nell’estate del 1919, e per tentare di disciplinarle il governo ricorreva all’esercito, per sua natura poco adatto a tutelare l’ordine pubblico: non conosce, infatti, la psicologia della folla, e ricorre facilmente alle armi per ristabilire l’ordine, come avvenne a Spilimbergo il 10 luglio 1919.

L’eccidio fu raccontato con dovizia di particolari sia sulle pagine de Il Lavoratore Friulano, settimanale socialista, che su altre.

Questi i fatti. Nella mattina del giorno 10, circa quattrocento persone si erano date convegno per un comizio annunciato con un manifesto a mano, che non conteneva nomi di oratori iscritti a parlare.

La folla si era raccolta verso le 10 davanti al Caffè Griz, in Piazza San Rocco, e, in mancanza di un leader, era probabilmente indecisa sul da farsi.

Sentendo il pericolo di un tumulto, salì su una sedia e prese la parola l’avv. Torquato Linzi, Commissario prefettizio, che per calmare la folla accettò di dimezzare il prezzo del pane.

L’atmosfera era molto tesa e la piazza percorsa da pericolosi segni di nervosismo, che probabilmente spaventarono i militari in servizio di ordine pubblico. Accadde così che, mentre il Commissario stava ancora parlando, “un ufficialetto sulla porta del negozio De Rosa esplodeva in aria un colpo di rivoltella”, provocando panico fra i dimostranti e uno sbandamento quasi subito ricomposto.

Il peggio accadde quando il Maresciallo dei Carabinieri, su invito del Commissario, tentò di raccogliere un ristretto gruppo di persone da inviare in Municipio a proporre la nomina delle Commissioni che avrebbero dovuto applicare il tesseramento e controllare il rispetto del calmiere (espedienti necessari ma poco efficaci che, come e noto, alimentano il mercato nero).

A questo punto il Maresciallo e i rappresentanti del comizio, seguiti dalla folla, iniziarono a muoversi verso il Municipio, ma trovarono la strada sbarrata da un reparto del 41° Fanteria comandato da un Capitano.

Mentre il Maresciallo stava andando a parlamentare con il Capitano, dal negozio di Umberto Pielli partirono alcuni colpi d’arma da fuoco, esplosi probabilmente per proteggere i negozi dal saccheggio.

Questa la testimonianza di un militare ferito su “La Patria del Friuli” dell’11 luglio: “D’un tratto, alzando gli occhi, vidi un borghese armato alla finestra di una casa (...) e altri borghesi pure armati ad altre finestre di case vicine. La cosa mi fece subito impressione. Ma non avevo finito quasi di osservarla che improvvisamente dalla prima finestra partì un colpo e altri dalle altre e io mi sentii ferito”.

A questo punto, udendo quei colpi, il Capitano ordinò il fuoco, e sul selciato rimasero tre morti: Angelo Tambosso (24 anni), Azeglio Giacomello (29), Francesco Pagnucco (31), e tredici feriti, fra i quali gravissimi Cassetti Luigi, Martinazzo Umberto, Zavagno Emilia; gravi Compagni Antonio, Bortuzzo Antonio, Nartinuzzi Umberto, Serafici Antonio e Della Savia Crispino.

La Patria riferisce un dettaglio di rilevante importanza sulla preparazione della manifestazione: “... i banditori del comizio cercarono di ottenere l’adesione e cooperazione anche della locale Sezione socialista”.

“Senonché, i socialisti di qui, seguendo la linea di condotta segnata dell’ordine del giorno di Roma, ebbero a rispondere che in massima erano contrari a questa forma di agitazione”.

I socialisti, prendendo le distanze, non negarono la gravità della situazione e consigliarono di rinviare il comizio a domenica 13 per attirare più gente!

L’“eccidio proletario” del 10 luglio e altri episodi (un soldato fucilato, a esempio, perché aveva salutato il generale Graziani tenendo la pipa in bocca) indussero il settimanale a spiegare la posizione dei socialisti verso l’esercito e gli ex combattenti.

I socialisti, leggiamo nell’edizione del 9 agosto, non sono contro i soldati e gli arditi, bensì “contro il militarismo e contro l’arditismo, che è una degenerazione, una corruzione del militarismo, già per se stesso degenerato e corrotto”.

I socialisti, afferma, sono contro il sistema che ha permesso la guerra, che ha lanciato contadini e operai vestiti da fanti contro contadini e operai di altra lingua, dipinti come nemici esterni, mentre ora li sfrutta ancora mandandoli contro contadini e operai della stessa lingua, definiti imboscati e nemici interni.

Analisi esatta, ma non era quello il miglior modo per attirare gli ex combattenti, che si sentivano esaltati e supportati dal nascente fascismo.

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