Il morso mortale del licantropo di San Giorgio

A San Giorgio della Richinvelda, una sera di giugno del 1897, tale Leonardo Zavagno camminava barcollando verso casa, tenendo il fazzoletto stretto attorno al pollice della mano destra. Il sangue...

A San Giorgio della Richinvelda, una sera di giugno del 1897, tale Leonardo Zavagno camminava barcollando verso casa, tenendo il fazzoletto stretto attorno al pollice della mano destra. Il sangue usciva copioso. Nel cielo, una luna a tre quarti sembrava sporca di caligine e nell’aria si respirava l’arrivo della pioggia. Se fosse stato plenilunio, qualche villano, dalla vivace fantasia e a conoscenza della storia, avrebbe potuto anche credere che l’incidente occorso allo Zavagno fosse un fenomeno di licantropia bello e buono. Chi poteva negare, del resto, che nei geni di certi friulani ci fosse una briciola di lupo? Lo Zavagno, infatti, si trovava in osteria e, venuto a diverbio per futili motivi con Sante Tesan, era stato preso a morsi da quest’ultimo. E la violenza era tale che, a detta dei testimoni, il Tesan sembrava davvero una belva inferocita e solo dopo l’ultima azzannata, che quasi staccò il pollice al rivale, ci vollero quattro robusti avventori per riuscire ad allontanare l’animale dal malcapitato.

Nei giorni successivi la ferita dello Zavagno andò aggravandosi: la febbre saliva e la mano, gonfia e viola da sembrare una melanzana, non faceva presagire nulla di buono. Superata la cocciutaggine di certe anime ruvide che si credono superiori ai rimedi della scienza, finalmente fu chiamato il medico che, non potendo fare più nulla, fece immediatamente ricoverare il disgraziato all’ospedale dove, pochi giorni dopo, morì per setticemia. Il 27 luglio del 1897, dunque, si aprì il processo in Corte d’Assise contro il Sante che, a caro prezzo, pagò la sua scarsa igiene dentale.

Ma la bestiale zuffa di San Giorgio della Richinvelda non fu certo un caso isolato. “Canizze” di tal genere, infatti, nel corso del XIX secolo erano frequenti in osteria, specie quando il demone dell’alcol prendeva il sopravvento e dall’acqua vite si passava all’acqua santa in un battibaleno. E visto che non sempre c’erano roncole e coltelli a portata di mano, a sopperire a certe necessità intervenivano nella mischia le traballanti sdentature offrendo, bisogna ammetterlo, una scena spettacolare. Un posto in prima fila, dunque, lo ebbero gli avventori di un’osteria udinese il 9 gennaio del 1899, quando, l’Otello geloso di turno, Valentino Savio di 27 anni, spalancò le sue fauci contro il ventunenne Giovanni Saltellani, staccandogli in un sol morso il labbro inferiore. Il ragazzo fu condotto all’ospedale dove il solerte medico comunale, dott. Stivanin, praticati parecchi punti di sutura, giudicò la ferita guaribile in due settimane. In tutta risposta il “rabbioso” Savio ricevette dal padre del Saltellani un pugno così poderoso alla regione orbitale sinistra, da cacciarlo a letto per altrettanti giorni.

Sempre a Udine, il 5 aprile del 1899, il trentasettenne Virgilio Romanelli venne medicato all’ospedale per ferita lacero contusa al dito anulare della mano sinistra. Era stata la morsicatura di un foresto di passaggio che, col ferroso sapore del sangue ancora in bocca, s’era dato alla macchia.

Il 15 maggio dello stesso anno, all’ospedale finisce anche il trentunenne Antonio Simeoni, facchino alla stazione di Udine. Motivo? Ferita da morsicatura riportata in rissa. Una zuffa degna di uno zombie fu invece quella esplosa a Treppo Carnico il primo gennaio 1896. Guai a non giocare la carta più alta se il compagno bussa! Per la distrazione di Natale Tolazzo, infatti, certo Amadio Ortis non perse soltanto una mano a tresette, ma anche la testa e con un guizzo selvaggio dalla sedia si lanciò sopra al tavolo staccando letteralmente con un morso il pollice destro del compare. Non pago, ma intenzionato a uccidere, con il boccone ancora fra i denti Ortis inseguì fuori dal locale il Tolazzo che, veloce come una lepre, riuscì a mettersi in salvo rinchiudendosi in casa. All’Ortis non rimase che fare dietrofront, ma non prima di sputare sulla soglia di casa, il pollice del mediocre giocatore.

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