La storia di una famiglia russa: Irina Scherbakova si racconta nel libro “Le mani di mio padre”
La scrittrice e storica è una dei tre finalisti del Premio Friuli Storia: ha insegnato Oral History all’università ed è tra le fondatrici di Memorial, associazione per i diritti umani e lo studio delle repressioni in epoca sovietica che nel 2022 ha ricevuto il Nobel per la pace

Concludiamo la presentazione dei tre finalisti del Premio Friuli Storia con “Le mani di mio padre. Una storia di famiglia russa” di Irina Scherbakova (Mimesis 2024, traduzione e prefazione di Stefano Vastano). Il vincitore del Premio sarà scelto dalla giuria dei lettori entro il 31 agosto 2025. La cerimonia di premiazione si terrà a Udine in autunno.
L’autrice, che abbiamo intervistato, è laureata in germanistica, ha insegnato Oral History all’università ed è tra le fondatrici di Memorial, associazione per i diritti umani e lo studio delle repressioni in epoca sovietica a cui nel 2022 è stato conferito il Nobel per la pace.
Nel libro, che Scherbakova definisce «un racconto documentario sulla storia di una famiglia sullo sfondo della storia russa del XX e XXI secolo», la Seconda Guerra Mondiale ha un ruolo centrale: «Io sono nata nel 1949 – ci spiega – e l’immagine delle mani mutilate di mio padre, che diciottenne fu mandato al fronte, combatté a Stalingrado, sopravvisse miracolosamente, fu gravemente ferito e rimase invalido di guerra, sono gli effetti della guerra più evidenti che ho sempre avuto davanti agli occhi».
Se poi ci si chiede come suo padre avrebbe reagito alla situazione attuale, lei prima di tutto ricorda: «È morto nel 2010, ma già molto tempo prima capiva perché la memoria della guerra veniva strumentalizzata da Putin e perché Stalin veniva nuovamente glorificato. Scrisse molto in merito e ne parlò alla radio e in televisione». E poi chiarisce il proprio pensiero senza mezzi termini: «La dottrina storica di Putin è quella di un nazionalismo aggressivo, incentrato su una memoria mitizzata della vittoria nella Seconda guerra mondiale. All’interno di questa dottrina, Stalin incarna il forte potere dello Stato e l’impero sovietico, che Putin cerca di far rivivere».
In questo contesto, nel 2022 Scherbakova lasciò la Russia, quando Putin lanciò un’aggressione su vasta scala non solo contro l’Ucraina ma anche, sciogliendolo, contro Memorial (di cui lei era responsabile del lavoro educativo e di sensibilizzazione). «Ho provato rabbia, impotenza e disperazione», ci confida.
Scherbakov è il cognome del marito di Irina, il cui cognome da nubile è Shindel da parte di padre e Mirov da parte di madre. È una famiglia di ebrei russi in ogni ramo, e il libro non solo racconta cosa significava essere ebrei in Russia nel XX secolo senza conoscere né la religione né la lingua ebraiche, ma illustra anche il ruolo svolto dall’atmosfera di antisemitismo in cui è cresciuta l’autrice, che non nasconde la sua preoccupazione: «Vedo l’antisemitismo in aumento in Russia e ovunque, compresa la Germania, dove ora vivo principalmente».
Scherbakova ci spiega inoltre perché ha deciso di dedicarsi alla raccolta delle testimonianze delle vittime dei gulag e, in generale, dell’oppressione sovietica e russa: «Sono cresciuta nell’era successiva alla morte di Stalin, quando il terrore di massa era un ricordo del passato, ma le tracce erano ancora profonde: paura, atomizzazione della società, conformismo, denunce e soprattutto, dopo un breve “disgelo”, uno Stato che si opponeva ad ogni riflessione sul passato e vietava di menzionare il gulag nella sfera pubblica. Ho deciso allora di affrontare l’argomento, registrando i ricordi dei sopravvissuti alle repressioni».
Ma l’offerta dei ricordi personali e altrui, disposti nei loro contesti storici, spinge a riflettere sul rapporto fra storia e memoria. Scherbakova sottolinea che «la memoria è una fonte molto complessa, è soggetta a influenze e pressioni esterne e può essere manipolata. Tuttavia, per comprendere molti processi sociali, occorre farvi ricorso».
Circa la storia, poi, sembra che essa insegni sempre meno all’umanità. E allora l’autrice, ricordando quanto disse uno storico russo nel XIX secolo, ribadisce che «la storia non è un’insegnante, ma una guardiana, e punisce coloro che non ascoltano le sue lezioni».
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