Il monologo di Gioele Dix sul legame padre-figlio: «La memoria aiuta a conoscere noi stessi»

Attore, comico, regista e scrittore, ospite dell’Ert e presto in regione. Lo spettacolo parte dal viaggio di Telemaco alla ricerca di Ulisse 

UDINE. La geografia friul-giuliana non lo coglie impreparato. La leva a Sequals è stata utile a fargli prendere dimestichezza con il territorio, con proficue esplorazioni anche nella Sinistra Tagliamento e più a oriente mantenute nel corso degli anni. Gioele Dix, all’anagrafe David Ottolenghi, torna con il suo “Vorrei essere figlio di un uomo felice”, spettacolo che parte dall’Odissea e dal viaggio di Telemaco alla ricerca del padre Ulisse per esplorare il rapporto padre/figlio. Comicità mescolata a saggezza. Il tour, con l’Ert, riprogrammato a febbraio, toccherà i teatri di Maniago, Sacile, Tolmezzo, Latisana, San Vito al Tagliamento e Monfalcone. Domani, alle 18.30, invece, si racconterà sulla pagina Facebook dell’Ert Fvg, ospite della rubrica “Il teatro a casa tua”.

Uno spettacolo che partendo dai piani alti della letteratura arriva fino ai giorni nostri, alla quotidianità...
«Ho preso spunto dai primi quattro canti dell’Odissea, quelli di solito meno studiati a scuola per un ragionamento ampio e attuale sulla paternità. Telemaco, diventato uomo lontano dal padre, decide di andare a cercare Ulisse. A consigliarlo è la dea Atena, che è un po’ la psicanalista dell’Olimpo. Un viaggio di formazione che, tappa dopo tappa, farà crescere Telemaco e lo porterà a confrontarsi con il mondo. Capirà, per esempio, l’insensatezza del farsi prendere dalle passioni, dopo l’incontro con Elena».

Un inevitabile ritorno alle origini?
«Telemaco raccoglie le notizie da chi ha combattuto con il padre. Personaggi come Nestore o Menelao lo aiutano a conoscere meglio il padre che non ha mai visto e a capire anche qualcosa di se stesso. Telemaco raccoglie le esperienza e la memoria del genitore e vi trova tracce di sé. Così capisci da dove provieni».

È più facile essere padri o figli?
«Due mestieri difficilissimi entrambi. A essere figlio ti ci ritrovi, non lo scegli: devi cercare di navigare all’interno di un rapporto faticoso e se il tuo è stato un padre ingombrante, è complicato trovare la tua strada. Telemaco vive un po’ nell’ombra del padre e anche io ne ho avuto uno importante, esigente, che mi ha segnato e insegnato. Fare il padre è una scelta, anche se non tutti la fanno consapevolmente, e nessuno ti insegna a farlo, quindi forse è più difficile».

Attore, comico, regista e scrittore. In quale veste sta più comodo?
«Il palco è il posto dove mi sento più a mio agio, in mezzo alla gente, davanti a centinaia di persone. Ho avuto la fortuna di fare dell’ottima televisione, mi sono preso tante soddisfazioni con “Zelig” e “Mai dire gol”; mi sento bene anche chiuso nella mia stanza a scrivere, ma è il teatro la mia vocazione».

Come se l’è cavata prigioniero in casa?
«Durante il primo lockdown, mi sono spaventato molto: nessuno era preparato. A marzo ho fatto girare sui social pillole letterarie di durata variabile. Ho letto Manzoni, il capitolo XXXI sulla peste de “I promessi sposi” ha innegabili analogie rispetto al momento che stiamo vivendo. In quel periodo ho riletto anche Rodari, Calvino, Buzzanti...».

E adesso, in che modo sta occupando il tempo?
«Sto scrivendo un soggetto e in parte una sceneggiatura per una serie televisiva e un nuovo spettacolo che prevedo di mettere in scena nel 2121, ma è ancora tutto in fase embrionale e non vi dirò di più».

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto