Il grande romanzo americano di Luca Quarin
L’autore udinese esordisce per Autori Riuniti con “Il battito oscuro del mondo” e si presenta all’Einaudi

Jpeg
L’appuntamento è per domani a Udine alla libreria Einaudi, alle 18, per un debutto. Enzo Martines, poeta e autore, converserà con Luca Quarin, l’udinese esordiente nella narrativa italiana con “Il battito oscuro del mondo”, (230 pagine, 15 euro), fresco di stampa per i tipi di “Autori Riuniti”, casa editrice torinese giovane, coraggiosa e indipendente.
“Il grande romanzo americano”, si legge in quarta di copertina, “quest’anno, lo ha scritto un italiano”. Ambiziosa dichiarazione. Saranno i lettori a giudicare “storia, affabulazione e stile”, caratteristiche dei libri scelti da Autori Riuniti, come si evince dal Manifesto editoriale pubblicato nelle ultime pagine, e la riuscita di un’opera come questa dal respiro ampio, dove l’autore, con talento, ha il pieno controllo delle tante linee narrative e un’idea chiara della necessità formale. Il suo lavoro punge e investe sul contemporaneo interrogandolo, così come l’arte anche in altri ambiti è tenuta a fare.
I protagonisti sono John e Abbey, discendenti di una delle famiglie più ricche del New England che hanno fatto fortuna nel diciannovesimo secolo con l’industria baleniera, e i loro due figli, William ed Elisabeth, che seguiamo nella loro ricerca di sfuggire al destino che li insegue. Ma l’ingranaggio neoliberista non lascerà loro scampo. «Ognuno deve fare la sua parte della storia anche se non serve a nulla», come si legge nell’ultima pagina, coerente e soffocante epilogo che parte in epigrafe da una citazione dell’economista Thomas Piketty: «Il passato divora il futuro». Frase che colpisce il lettore, perché se il romanzo propone l’ambientazione americana, chi l’ha scritto è un italiano, e questo pensiero si attacca molto facilmente alla tradizione dei conquistatori europei e al vecchio moribondo continente in cui noi viviamo. Ma «la balena sta all’Ottocento come il petrolio sta al Novecento», ci dice Quarin, e questo è il milieu del suo romanzo: l’America. I tempi sono scanditi con un meccanismo di precisione: ogni due anni, dal 1964 al 2016. La grande storia è descritta con cristallina accuratezza, ed è proprio la chiarezza espositiva con cui è definita a creare il bipolarismo attrattivo che cade nell’indefinito. I livelli narrativi oscillano e si intersecano. Sono uno più uno, anzi due, e poi ce ne è un terzo che sfugge, e si muove come un cetaceo appunto, e che affiora languidamente dall’acqua ogni tanto. Più precisamente un capodoglio, metafora dell’esistenza, e delle storie che sgusciano una sull’altra, e a sentire l’autore, «del capitalismo che riproduce soltanto se stesso». Riferimenti letterari? “Moby Dick” tanto per cominciare. Ecco perché ci si muove a New Bedford, nel Massachusetts, che non è solo la location dell’incipit del libro di Melville, ma la musica di questo caso, compresa nell’onda evocata da un video recente di Woodkid, e nella città d’origine di Andy Rubin, l’inventore del sistema Android, che in questo libro ha il suo motivo di esistere, legato alla parte finale delle generazioni presenti, o meglio, perdenti.
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