Il grande inganno del Duce verso la gioventù italiana

Il professor Folisi spiega la scelta di Mussolini dopo la Grecia: l’esercito doveva combattere una guerra parallela all’alleato
La vittoria degli alpini a Nikolajewka consentì ai sopravvissuti di svelare l’inganno della campagna di Russia agli italiani. Un inganno perpetrato dal duce del fascismo nei confronti dei propri giovani che aveva voluto a tutti i costi mandare in Russia insistendo con Hitler il quale volutamente l’aveva avvertito dell’attacco solo poche ore prima di sferrarlo, il 22 giugno 1941. Mussolini voleva che l’esercito italiano ritornasse a combattere di nuovo una guerra parallela all’alleato tedesco e superasse quel ruolo da gregario che dopo la disastrosa campagna di Grecia era costretto a ricoprire. Quindi dichiarò guerra all’Unione Sovietica e inviò un Corpo di spedizione italiano in Russia, composto da 62.000 uomini, che iniziò le ostilità ad agosto.


Nella primavera del 1942 il duce mandò un ulteriore corpo di spedizione l’Armir, con più di 200.000 uomini, di cui 57.000 erano truppe alpine, che partecipò all’avanzata in Ucraina, combattendo tra il Donec e il Don e riuscì a respingere un’offensiva russa alla fine di agosto, nonostante non avesse, né forze corazzate, né sufficienti automezzi e artiglieria anticarro e antiaerea, né attrezzature e vestiario adatto al freddo siderale dell’inverno russo. Il 19 novembre 1942 i sovietici sferrarono una decisiva nuova offensiva che travolse le armate dell’Asse a Stalingrado, sul Don, ovunque.


Tutte le forze italo tedesche iniziarono ad arretrare e anche l’Armir dovette affrontare una disastrosa ritirata, a piedi in pieno inverno alla mercé dei continui attacchi dei russi che riuscirono a chiuderla in una sacca. Gli italiani subirono più di 25 attacchi prima di Nikolajewka, la battaglia che riuscì a rompere l’accerchiamento e a far sì che i superstiti si potessero salvare. La drammatica cronaca della battaglia l’abbiamo grazie alla testimonianza, pubblicata dall’editore Gaspari, di Diotalevio Leonelli, alpino artigliere, aggregato alla Julia «Era il 26 gennaio, martedì, e splendeva il sole. Eravamo una colonna interminabile di uomini, probabilmente sui diecimila soldati, distesa per chilometri sul dosso da cui si scendeva per Nikolajewka. C’era un trambusto che non si capiva niente. Spari da una parte, spari dall’altra. Noi della Julia eravamo decimati e disarmati. Soltanto la Tridentina, pur essendo fortemente decimata, avendo fatto un percorso più breve di noi nella ritirata, (era di stanza più a nord), aveva ancora un discreto contingente di forze e armi ed aveva ancora il suo comandante, il generale Luigi Reverberi. Fra noi si diceva che Nikolajewka era l’unico punto dove si potesse rompere l’accerchiamento. Arrivammo sulla collina poche ore prima dell’attacco. Il generale Reverberi sapeva che se non fossero riusciti a sfondare prima della notte, sarebbe stata la fine. Davanti a noi c’era la ferrovia con un sottopassaggio. I russi erano già appostati e nascosti lungo il costone della ferrovia ed aspettavano che noi agissimo. Il generale Reverberi ad un certo punto salì su un carro armato ed urlò: All’urlo del generale si unirono le urla di tutti gli alpini che si lanciarono verso la ferrovia. Noi ci buttammo al seguito della Tridentina. A guardarci dal basso della collina dovevamo apparire una massa spaventosa. Migliaia di uomini scatenati resi folli dalla disperazione. Al momento della reazione russa scoppiò l’inferno. I russi cominciarono a sparare su di noi: era tutto un fuoco incrociato, da una parte e dall’altra. Come se non bastasse, due aerei russi facevano la spola, alternativamente, spezzonando e mitragliando su di noi truppe italiane, facendo una vera carneficina. Subimmo fortissime perdite umane. Nella serata si aprì un varco fra le linee russe, grazie alla disperata lotta degli alpini per sfuggire all’accerchiamento nemico. Noi pochi sopravvissuti di quella tremenda battaglia scendemmo per una scarpata, camminando sopra i corpi dei nostri commilitoni e riuscimmo ad arrivare al sottopassaggio della ferrovia ed uscire dalla sacca. Non ci fermammo a Nikolajewka. Nonostante la fatica e le condizioni precarie preferimmo continuare a camminare tutta la notte per allontanarci il più possibile dal fronte russo. Eravamo usciti dalla sacca. Sapevamo di avere fatto un passo fondamentale verso la Salvezza.».


Durante il ripiegamento morirono congelati, furono uccisi e caddero prigionieri decine di migliaia di giovani italiani. I tedeschi su autocarri o su treni schernivano e deridevano gli italiani che si trascinavano spesso senza scarpe con i piedi avvolti in pezze e quando cercavano di salire sugli autocarri, venivano colpiti col calcio dei fucili. Il crudo racconto dei superstiti, una volta in Italia, fu la condanna dell’assurda politica di guerra del fascismo, degli alleati tedeschi che si erano comportati peggio dei nemici. Le popolazioni delle valli alpine che avevano ascoltato il racconto dei superstiti sulla sorte dei loro figli e fratelli, degli amici che erano morti o scomparsi in Russia e gli stessi reduci, di lì a poco, si schiereranno con la resistenza contro il nazifascismo.


La vittoria di NiKolajewka fu la sconfitta di Mussolini e dell’intera gestione politica, militare e amministrativa, della classe dirigente chiamata a tutti i livelli a compiacere e a rendersi complice della scelta insensata dell’alleanza con la Germania nazista e della guerra.


©RIPRODUZIONE RISERVATA




Riproduzione riservata © Messaggero Veneto