Il dio bambino: Fabio Troiano porta in scena l’ironia di Gaber

L’attore a Osoppo per Ana-Thema. «Racconto l’amore e la fatica di crescere»

Mario Brandolin
Fabio Troiano protagonista a Osoppo dello spettacolo “Il dio bambino” di Giorgio Gaber
Fabio Troiano protagonista a Osoppo dello spettacolo “Il dio bambino” di Giorgio Gaber

C’è sempre un tempo per Giorgio Gaber: il suo talento, la sua ironia, la ricchezza e la bellezza dei suoi testi, canzoni e monologhi continuano a parlarci, a dire di noi, delle nostre fragilità e contraddizioni anche a vent’anni dalla sua morte.

Non c’è stata stagione teatrale (perché il teatro era il luogo in cui Gaber dai primi anni ’70, abbandonata la tv, aveva deciso di affidare le sue storie e la sua musica ) che in questi due decenni non sia stata impreziosita dalla riproposta di alcuni suoi lavori, soprattutto quelli di sola parola, da Il grigio a Parlami d’amore Mariù a Il dio bambino.

Ed è proprio quest’ultimo ad andare inscena al Teatro della Corte di Osoppo sabato 20, alle 20.45 per la stagione di Anà-Thema Teatro.

Un testo, ll dio bambino che Gaber e Luporini scrissero nel 1993 ma che non ebbe vita lunga, solo un mese di recite al Piccolo di Milano, perché Gaber in quel momento era alle prese soprattutto con il suo “teatro canzone”.

A interpretare questo intenso monologo, di passione ironia e disincanto, Fabio Troiano un attore molto popolare e poliedrico che si è fatto apprezzare al cinema e in molti programmi e fiction televisive, ma che è assai legato al teatro, dove ha iniziato la sua carriera dopo aver frequentato la Scuola di Luca Ronconi, uno dei grandi maestri del teatro italiano.

«Nonostante sia del 1993 – spiega il regista Gallione – il testo ha ancora straordinaria forza, contemporaneità, modernità. Il protagonista è molto “signor G”, personaggio maschera che Gaber ha inventato e interpretato: artista compiaciuto della propria diversità con l’eterna sindrome di Peter Pan».

Ma che cosa racconta Il dio bambino?

«Innanzitutto l’amore. Un tema senza tempo che c’è sempre stato e ci sarà sempre, le dinamiche amorose sono dinamiche che un finiranno mai, universali».

Che amore è quello del personaggio che lei interpreta?

«L’amore di un lui che, in una fase particolare della sua vita, ripercorre la sua storia con una donna per lui molto importante: incontro, colpo di fulmine, matrimonio, figli, crisi, tradimenti, recriminazioni, incomprensioni, liti, e via di questo passo. Con queste premesse è ovvio che tutti ci si riconosca un po’. Soprattutto in quella fatica a diventare adulti e nel restare aggrappati a una eterna adolescenza.

Da questo l’ambientazione voluta dal regista, una scenografia che è anche un luogo metaforico, una sorta di locale in disfacimento, tra lattine, fiori calpestati e rimasugli di una festa finita male, che simulasse in una specie di dopo party. La festa è finita. E lo è anche una fase della vita del protagonista».

Il dio bambino del titolo è il personaggio, oltre al figlio che verrà. Quanto c’è, se c’è del personaggio in Fabio Troiano?

« In realtà io lo coltivo, il mio lato bambino. Penso infatti che lo si debba tenere in vita più a lungo possibile: è lui che ci rende pù vivi e vivaci».

Si tratta di un monologo, ma non solo.

«Infatti, Gallione ha inframezzato il mio dire con numerosi frammenti di canzoni di Gaber, da Quando sarò capace di amare a Valentina, perfettamente miscelate con le parole del copione».

Tra cinema televisione e teatro, dove si trova meglio?

«A teatro perché è quello che da più soddisfazione. C’è il riscontro immediato, un’emozione che non può essere replicata. E’ quello che prova un cantante in un concerto live: un conto è registrare in studio, un conto è cantare dal vivo, e questo è impagabile».

Di Luca Ronconi che cosa ricorda?

«La sua straordinaria capacità di sviscerare un testo, poteva stare anche cinque ore su un solo dialogo, da cui riusciva a cavare nuovi sensi nascosti. Che è poi il bello di fare questo mestiere, scoprire e scoprirsi attraverso storie scritte da altri».

È di nuovo al cinema con il film Peripheric love opera prima di Luc Walpoth.

«Anche qui è la storia di una coppia, e delle difficoltà che deve affrontare per arginare le impellenze del quotidiano: una storia d’amore drammatica ambientata in una periferia che, come la precarietà del lavoro, incide spesso rovinandole anche sulle relazioni interpersonali».

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