"Cutro, Calabria, Italia”: il documentario sulla strage in proiezione a Pordenone
Il documentario di Calopresti nell’arena estiva di Cinemazero. «Su quella nave un’umanità in fuga»

Certe ferite non si rimarginano, ma se raccontate con onestà e profondità possono diventare coscienza collettiva. Per questo l’appuntamento dell’8 luglio a Pordenone, nell’Arena estiva di Cinemazero, i Giardini Francesca Trombino, alle 21.30 (con ingresso gratuito) promette di essere, più che una semplice proiezione, un rito civile. È infatti attesa il documentario “Cutro, Calabria, Italia” firmato da Mimmo Calopresti, che sarà presente per dialogare con il pubblico.
L’opera ricostruisce con delicatezza e rigore la tragedia del 26 febbraio 2023, quando un caicco partito dalla Turchia con 180 migranti a bordo si infranse a pochi metri dalla riva di Steccato di Cutro. Le vittime furono 91, fra cui 25 bambini. Ma “Cutro, Calabria, Italia” è molto più di un racconto di morte: è un’indagine sull’anima di un paese, sulla sua capacità – o incapacità – di riconoscere l’altro, di farsi carico del dolore altrui. Abbiamo incontrato il regista Calopresti per farci raccontare il cuore del suo lavoro.
In un Paese che sembra sempre più abituarsi all’orrore, cosa l’ha spinta a fermarsi proprio su Cutro e dire: questa storia va raccontata, adesso?
«Mi arrivavano queste notizie da un posto che conosco bene, sono nato in Calabria e l’ho sempre frequentata. Improvvisamente, queste immagini così potenti: la nave completamente distrutta, quei bambini morti sulla spiaggia…E poi vedere i calabresi che si davano da fare per salvare quelle vite, accogliere i parenti delle vittime. Mi ha colpito l’idea che su quella nave si fosse concentrato il mondo, con tutta la sua umanità in fuga. Non solo per motivi economici. Il mondo si muove, e non c’è nulla da fare».
Il film alterna testimonianze, immagini forti, riferimenti sacri e citazioni cinematografiche. Ha voluto evocare Pasolini, che proprio a Cutro girò “Il Vangelo secondo Matteo”. Qual è il legame, per lei, fra il linguaggio pasoliniano e questa tragedia?
«Mi è sembrato naturale. Nella poesia “Alì dagli occhi azzurri” Pasolini predisse esattamente quello che sarebbe accaduto cinquant’anni dopo: “l’invasione” degli extracomunitari. Anche in quel caso aveva già visto tutto».
Cutro è più di un documentario: è un atto di memoria. Secondo lei, il cinema può contribuire concretamente a tenere viva la coscienza collettiva?
«Il cinema ha grandi possibilità. Può mettere in scena immagini del mondo e raccontare storie vere. Io ho cercato di dare nomi e cognomi a questa gente che arriva e che troppo spesso viene descritta in modo generico. Ho voluto ricostruire le loro piccole storie e quelle dei familiari che, da un giorno all’altro, si sono trovati a fronteggiare una tragedia più grande di loro . Questa è la funzione del film».
Che reazioni ha avuto da parte delle istituzioni? C’è stato ascolto?
«Abbastanza, direi. Il film è stato prodotto dalla Film Commission Calabria. Ma a me interessa di più come è stato accolto dalla gente, che quando lo vede si riscopre solidale. Magari critica, ma capisce che bisogna occuparsene».
Il film mostra anche la risposta umana e solidale dei cittadini. È questo il vero volto dell’Italia che vuole raccontare?
«A me ha colpito molto. Non mi aspettavo che in Calabria tanti si precipitassero su quella spiaggia. C’è un’Italia che ha bisogno di vedere gli altri, non solo averne paura. Alla fine, noi calabresi siamo tutti emigrati. Lo sappiamo cosa vuol dire partire, lasciare tutto».
Qual è la reazione più forte o inaspettata che ha ricevuto da parte del pubblico?
«C’è paura, lo capisco. Ma è una situazione irreversibile. Possiamo solo affrontarla cercando di far convivere culture diverse. Non mi aspettavo tanta solidarietà, tanta voglia di inclusione. Le persone sono molto più ben disposte di quanto pensiamo».
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