I saggi sull’empirismo: una raccolta restituisce il pensiero di William James

Nelle librerie la nuova edizione e traduzione del testo uscito postumo nel 1912. Le riflessioni del psicologo americano sulla filosofia e l’analisi della vita

Luca Taddio

Dal 28 luglio è diventata disponibile in tutte le librerie la nuova edizione e traduzione dei “Saggi sull’empirismo radicale” (Mimesis, pagg. 206) di William James, curata da Luca Taddio e da Andrea Colombo, accompagnata da una postfazione di Rocco Ronchi.

***

Per molto tempo la parola “empirismo” (dal greco “empereia”: esperienza) è stata considerata un brutto termine, soprattutto in filosofia. L’esperienza, il nostro percepito, tutto ciò che compete e tocca i nostri sensi e stimola le nostre impressioni, non ha quasi mai goduto di grande fama o prestigio.

Come si può costruire qualcosa di stabile e di certo a partire da qualcosa che sembra invece essere, per sua natura, così sfuggente e personale? Molto meglio farsi forza attraverso strumenti più sicuri, come la ragione, i sistemi ben organizzati, le dimostrazioni e la logica. Verso la fine dell’Ottocento, però, qualcosa ha cominciato a cambiare. La ragione, la coscienza, persino alcune delle formule con cui la matematica aveva dominato nel corso di tutta l’età moderna, non sembrano più essere sufficienti. Tutti quei delicati e precisi schemi costruiti dalla filosofia per spiegarci il nostro vissuto non soddisfano più chi è chiamato, appunto, a vivere.

La palla passa quindi dall’altra parte del campo: ci si rivolge a quelle discipline che stanno dalla parte del vissuto e non di chi lo deve spiegare o organizzare. A fine Ottocento, la psicologia ha già mosso alcuni passi importanti, la letteratura è straripante e le arti visive cominciano a conoscere un’incredibile stagione di sviluppo, sperimentazione e crescita: è a queste forme, ora, che si comincia a guardare con particolare interesse. La filosofia, in tutto questo, non scompare, ma si riorganizza: apprende nuovi stili e cerca di assorbire la nuova esigenza collettiva di un pensiero che sappia farsi più vicino alla vita e all’esperienza di ciascuno di noi. E uno dei primi e più fulgidi esempi di questa “nuova” filosofia è proprio William James. Restando anche solo a livello biografico, ci si accorge che in James sono destinate a incontrarsi le più importanti tendenze di inizio Novecento.

Nato a New York nel 1842 da una famiglia piuttosto agiata e già molto conosciuta a livello politico e religioso (il padre, ma soprattutto il nonno, erano famosi teologi), ha avuto come padrino nientemeno che Ralph Waldo Emerson e, come assidua frequentazione in casa, Henri David Thoureau.

Viaggiando sin da ragazzi da un punto all’alto dell’oceano, i giovani James (sono in tutto tre fratelli) imparano ben presto a sviluppare i propri talenti e ad assorbire le tendenze intellettuali del tempo: William James si iscriverà a medicina, ad Harvard, e sceglierà di specializzarsi nella nascente branca della psicologia; il fratello, Henri James, diventerà invece uno dei più importanti romanzieri di lingua inglese, autore di capolavori come “Giro di vite” e “Ritratto di signora”; e altrettanto si può dire della sorella, Alice James, i cui diari vengono tutt’oggi considerati un importante esempio della letteratura americana di inizio secolo. Si può quindi già notare come William James nasca e cresca circondato da una pluralità di tensioni e di tradizioni – religiose, filosofiche, letterarie, scientifiche - che ci ricorda molto da vicino lo stato attuale in cui noi stessi ci troviamo, a più di cento anni di distanza, avvolti come siamo in un fermento cosmopolita in cui a volte è difficile orientarsi. È però proprio la scelta intellettuale che James compie ad essere per noi fondamentale. La sua decisione, infatti, non è quella di “ritornare” ad un luogo più sicuro o più confortevole ricercando un concetto generale capace di astrarre l’esperienza e di spiegarne le ragioni, prendendo quindi una dose di distanza dalla realtà.

Quello che James sceglie di fare è abbracciare definitivamente il bisogno di avere una filosofia più vicina alla vita, immergendovisi completamente. Il suo è quindi un movimento di immersione radicale (termine importante, questo) e non di fuga dall’esperienza, alla ricerca di un modo per riuscire ad abbracciare quanto ci circonda e ciò che sta accadendo.

Il risultato di questa scelta intellettuale, assunta da William James e da alcuni altri pensatori a lui molto vicini, come Charles Sanders Pierce e Chauncey Wright, ha preso il nome di “pragmatismo”. Una corrente piuttosto difficile da definire, ma caratterizzata da un’unica tendenza di fondo: scegliere ciò che è utile alla vita piuttosto che ciò che non lo è.

In William James, in particolare, questa tendenza si è riverberata su alcuni concetti che per lui, medico, scienziato e psicologo, sono particolarmente importanti. Ben presto, infatti, James si accorge che i mezzi con cui solitamente la psicologia spiega e racconta l’esperienza dell’uomo non sono sufficienti: termini come “coscienza”, “interiorità”, “soggetto”, risultano troppo ambigui e, paradossalmente, rigidi. È dunque necessario limarli e metterli in discussione, riuscendo a trovare la vita che si nasconde al di sotto del loro guscio formale. L’intento è chiaro: James vuole riuscire a trovare un modo in cui la filosofia e la scienza, invece di dibattere o ostacolare le complesse sfumature del vissuto, le abbraccino e prendano confidenza con la flessibilità intrinseca al reale, diventando così pratiche intellettuali più vicine all’uomo e utili all’esperienza di ciascuno.

In questo testo uscito, peraltro postumo, nel lontano 1912, si trovano raccolti quei saggi in cui il tentativo di James di avvicinarsi a una filosofia per la vita raggiunge la propria massima chiarezza: vi si trovano le sue riflessioni sulla filosofia moderna e antica (Platone, Cartesio, Kant…), le sue critiche alla psicologia del tempo e la proposta di nuovi concetti con cui raccontare la nostra esperienza. Ciò che però, più di ogni altra cosa, si può trovare in questi scritti è la capacità di James di muoversi con sicurezza e rigore nelle pieghe più difficili del suo tempo, così simili a quelle del nostro, senza rifiutarlo e senza categorizzarlo a priori. Un grande esempio di come la filosofia possa essere una forma di guida e di analisi della vita, tutt’altro che astratta o astrusa, al completo servizio dell’esperienza di ciascuno. Qualcosa che, oggi più che mai, soprattutto di fronte alle nuove sfide che ci circondano, risulta quantomai importante.

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto