I Romani e le Alpi: storia di una conquista che arrivò tardi e non attirò l’impero

Il volume vincitore del Premio Leggimontagna a Tolmezzo Al centro dell’opera anche la popolazione dei Carni 

I romani conquistarono (tardi) le Alpi ma non ne furono mai conquistati. Questa la sintesi giornalistica che si potrebbe ricavare dal bel libro di Silvia Giorelli Bersani, L’impero in quota. I Romani e le Alpi, edito da Einaudi e vincitore a Tolmezzo del recente Premio Leggimontagna 2020 per la saggistica. Un volume che parla e ci parla anche dei Carni, la misteriosa, mitizzata popolazione che ha dato il nome al Friuli alpino.

In età precristiana le Alpi furono per secoli, se non per millenni, oggetto di movimenti di popolazioni provenienti da nord o dall’Europa centro-orientale. Utilizzando una terminologia che deriva direttamente dalla concezione romana degli spazi politici potremmo definire tali movimenti “invasioni” e le popolazioni che si spostavano “barbariche”. Così, tuttavia, si coglie solo una parte del problema: si trattava infatti di popolazioni seminomadi, che si muovevano in modo disordinato, quasi sempre in tribù, con famiglie e masserizie al seguito. Non avevano nessun progetto “nazionale”, né concepivano un’idea di confine simile a quella che avrebbero introdotto i Romani; né, infine, meno che meno, il concetto etnico di popolo che è stato inventato solo nell’Ottocento. Nel 186 a.C., ad esempio, consistenti gruppi di Galli transalpini passando dai valichi orientali si installarono nella bassa pianura friulana; sembra fossero addirittura dodicimila guerrieri con le loro famiglie. Una migrazione di massa, causata dalla penuria di terre nelle loro regioni e che aveva come meta la Venetia, descritta come spopolata e deserta nonostante gli insediamenti dei Veneti, alleati dei Romani. Su ordine del Senato essi furono respinti e a guardia dell’aperta frontiera orientale venne posta una nuova colonia, Aquileia (181 a.C.). Anche questo episodio contribuì a dare corpo all’idea delle Alpi come una barriera a protezione degli interessi romani, oltre la quale non c’era che la barbarie. Ciò tuttavia non spinse la Repubblica a premere sull’acceleratore dell’occupazione militare delle Terre alte. Solo tra il 25 e il 7-6 a.C., con una serie di interventi militari, per opera di due figli adottivi di Augusto, Druso Maggiore e Tiberio, fu compiuta la sottomissione delle popolazioni dell’intero arco alpino. Furono campagne spietate, che sottoposero gli sconfitti a trattamenti crudeli e alla deportazione di grandi quantità di uomini per prevenire sollevazioni. Un episodio non secondario nella costruzione della potenza continentale multietnica e multiculturale romana.

In età imperiale, con il fine principale di aver garantita la libera circolazione di uomini e merci verso il limes settentrionale dell’Impero, i Romani ottennero quindi il controllo delle strade e dei valichi alpini, e scoprirono che le Alpi costituivano un serbatoio di risorse importanti: boschi, acque, minerali. Mai affascinati dalle Alpi, «troppo alte, troppo fredde, troppo lontane dal mare Mediterraneo e da Roma», e per nulla attratti dalla natura incontaminata alpina, i successori di Augusto imposero una romanizzazione forzata che ebbe tuttavia il merito di “aprire” lo spazio alpino e i suoi abitanti, inserendoli in una sistema-mondo centrato sulla grande metropoli tirrenica. La moneta romana, la scrittura, la lingua latina, il cursus honorum, gli agi della vita romana si diffusero tra le popolazioni alpine, imponendosi sul mix di culture preesistenti. Una storia continua di ibridazioni, sovrapposizioni, meticciamenti. L’abitante a Iulium Carnicum (Zuglio) che deteneva i diritti politici e civili dei romani, spiega Giorelli Bersani, poteva essere un indigeno romanizzato, un colono laziale trapiantato, un funzionario di origine greca, un imprenditore patavino, un veterano ligure tornato a casa al termine della ferma.

Per questo, l’idea che esista una “identità carnica” culturale e antropologica risalente ai Carni, un’idea portata avanti dal friulanismo novecentesco e che ritorna anche in opere recenti come la Storia della Carnia di Igino Piutti, è materiale buono per i miti politici, meno per l’indagine e la riflessione storica. Appartiene a quella categoria detta “invenzione della tradizione” che contrappone da secoli la supposta purezza e originarietà dei “popoli” pre-romani ai colonizzatori latini: un’operazione culturale che ha guidato la nascita delle nazioni nell’Ottocento, nel Novecento e fino alle soglie del XXI secolo. Ultimo esempio: la mitografia celtica della Lega di Bossi con il suo dio Po, di cui si sono perse le tracce. —
 

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