I Pooh arrivano in Friuli, Red Canzian: «Cento milioni di dischi ma non ci sentiamo star»

Il gruppo sarà in concerto domenica sera a Villa Manin: «Tanti ricordi in Friuli, come le serate a Sesto al Reghena»

Gian Paolo Polesini

Gli “Amici X Sempre” — serve dire che sono i Pooh? — in Friuli Venezia Giulia soggiorneranno per una sera soltanto: domenica 24, dalle 21, a Villa Manin, una location peraltro già sperimentata tra le tante regionali della band più amata dagli italiani. Oltre cento milioni di dischi venduti, un’enormità.

Canzian, domanda obbligatoria: quanti souvenir friulani sono appuntati sul suo diario?

«Ah, guardi, tantissimi. I primi già quand’ero un ragazzo negli anni Settanta e suonavo con i “Capsicum Red”, faccia lei due conti. Al tempo la chiamavamo tournée, ma ci spostavamo semplicemente da un locale all’alto. A noi sembrava di vivere chissà quali entusiasmanti avventure on the road. Ecco, ricordo nebbie fitte quando raggiungevamo d’inverno un frequentato locale di Sesto al Reghena, di solito la domenica pomeriggio. Memorie più recenti risalgono a Villa Manin, appunto, a Lignano, a Udine e a Trieste. A proposito di Trieste… Be’, dai, è troppo lunga come storia, ve la dirò un’altra volta».

Eh no, Red, adesso ce la racconta!

«Okay. Stefano se la prese con un’automobilista, proprio in centro città, che — se non sbaglio — non rispettò un pedone. Lui, da paladino della giustizia quale era, obbligò il conducente a chiedere scusa alla signora e lo fece in modo piuttosto aggressivo. Il proprietario del mezzo ostentava una certa carica militare, ma non ricordo a quale arma appartenesse, e questo signore lo fece arrestare per oltraggio a pubblico ufficiale. Così il povero D’Orazio finì dietro le sbarre in via del Coroneo. Per una notte intera. Suonammo in quattro».

Dicevamo prima dei cento milioni di dischi venduti: che effetto vi fa sentire una cifra così roboante?

«Ci stupiamo noi per primi ogni qualvolta viene fuori ‘sta enormità, come con lei adesso. Mi creda, non ci sentiamo affatto delle star. Siamo gente con l’animo semplice e la nostra unica preoccupazione è creare una buona canzone nuova. Pensi che non partecipammo neppure all’Eurofestival l’anno della vittoria di Sanremo: e, infatti, offrimmo il posto a Toto Cutugno».

Poi, nel 2016, ci fu la volontà di un addio, che poi addio vero non lo è mai stato.

«No, la storia si è conclusa. Capita di abbracciare qualche reunion che accettiamo con gioia. Siamo amici per sempre, in fondo. La gente ci vede così ed è questa la nostra forza. Nonostante l’assenza di sette anni e, per giunta, senza dischi, l’Ariston ci accolse al festival 2023 per proporre un medley alla salute della canzone e della melodia».

Come dire, siete degli antidivi?

«Sono d’accordo. Conosco artisti che girano con quattro uomini di scorta e, si fidi, stanno molto più indietro dei Pooh. Mi piace andare al supermercato e fare qualche selfie con i clienti. Ti gratificano le dimostrazioni d’affetto».

Nonostante sia un cittadino del mondo il suo accento veneto è ben saldo!

«Ghe mancarie altro! (Ci mancherebbe altro!). E poi vuole mettere una battuta in dialetto? Non c’è gara con l’italiano».

È vero che lei sostenne il provino per i Pooh da chitarrista quando loro, in realtà, cercavano un bassista?

«Eccome no. A Roncobilaccio. Non so bene perché mi chiamarono, sapevano che suonavo la chitarra e non il basso. Comunque andai, ovviamente senza strumento. Ne trovai uno lì e cominciai l’esibizione precisando che quella non era proprio la mia specialità. Evidentemente doveva andare così. Infatti mi dissero: va bene, ti prendiamo. Quando cominciai a strimpellare a tredici anni sentivo che prima o poi sarei arrivato lontano. Sensazioni forti. E così quando passò il treno avevo il biglietto in mano e lo presi al volo. Nella vita bisogna sempre essere pronti».

La musica della gioventù le piace?

«Claudio Villa, al tempo, ci definì i “capelloni” e non proprio simpaticamente. Non vorrei fare adesso io il matusa, per carità. Dico soltanto che si sta un po’ esagerando con l’autotune».

Pooh: fine mai?

«Chissà, tra amici veri non sai quello che di straordinario potrebbe succedere».

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