I miracoli dei Cinquanta

di Gian Paolo Polesini
Noi del Duemila sembriamo i parenti scemi di quelli dei Cinquanta. Loro, distrutti dalla guerra, c'avevano l'animo caldo del fare, dell'osare, del rischiare, del produrre, e sempre noi del Duemila, che usciamo dal benessere, siamo posseduti dall'animo freddo dell'oziare, del litigare, dell'incasinarci e del qualcuno farà, altrimenti ciccia. Un piccolo prologo, venuto proprio da un pensiero basico, guarda, appena passata la prima parte di "La strada dritta", film tv Raiuno in due puntate, uno dei tanti remember che tiriamo fuori spesso quando la persistente domanda è: ma dove cacchio stiamo andando?
Mezzo secolo fa, il 4 ottobre 1964, i settecento e rotti chilometri dell'Autosole tagliavano in due l'Italia che ce la metteva tutta, altroché se ce la metteva, e anche allora la politica era fessa come oggi, mica ti aiutava, macché, burocrate e non sapeva guardare lontano. Però c'era la gente forte e qualche miracolo veniva fuori lo stesso. Certo, una fiction ben cucita come questa ti aiuta a scardinare eventuali omertá, ti rendi conto - seppure guidato da una realtà più o meno reale - quanto il nostro regredire davanti a una necessaria riscossa, mai ci condurrà alla grandezza che il Paese del Rinascimento pretende.
Ora, senza farci pigliare da una specie di sindrome di Stendhal per lo sceneggiato con Marchesi, Fantastichini, Caprioli, Recano e Bilello (nel senso, con le dovute proporzioni, di momentaneo innamoramento per un teatro di sana e robusta corporatura) il ragionamento scaturisce meglio, è palese il problema contemporaneo di una generazione attendista e kamikaze. In otto anni e coi mezzi poveri 'sti fenomeni fecero l'impresa, cavolo. Adesso abbandoniamo i cantieri per otto anni, capite?
Conoscendo l'andazzo servirà a niente, ma chi l'ha vista "La strada dritta", almeno la racconti agli amici, è un buon esercizio di divulgazione per stimolare l'entusiasmo perduto.
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