Haber racconta il suo Zeno: vita che scivola via
L’attore sarà in scena da martedì al Giovanni da Udine. «Racconto un uomo distaccato, apatico e senza ironia»

È uno Zeno invecchiato ma con sigaretta sempre accesa, quello cui da vita Alessandro Haber nello spettacolo che lo Stabile del Fvg ha messo in scena con la drammaturgia e regia del suo direttore Paolo Valerio nel centenario della pubblicazione del capolavoro di Italo Svevo, pietra miliare della letteratura italiana del ’900, La coscienza di Zeno, che sarà in scena da martedì 8 a giovedì 10 al Giovanni da Udine, spettacolo inaugurale della stagione di prosa.
Uno Zeno, incanutito quasi inchiodato a una sedia a rotelle, un richiamo forte al problema vissuto da Haber negli ultimi mesi a causa di operazione sbagliata alla schiena per cui è ancora claudicante, che al lato del palcoscenico si confessa nel veder scorrere come in un lungo flusso di coscienza le tappe più importanti della sua vita.
«E se le lascia scorrere addosso – dice Haber – quasi la vita non gli riservasse più alcuna sorpresa. Il mio è uno Zeno distaccato, quasi apatico, e neanche l’ironia, quell’ironia di cui è permeato il romanzo, non sembra più quell’arma di salvezza, quello strumento per barcamenarsi con leggerezza oggi come ieri nelle acque agitate altre volte mortalmente noiose dell’esistenza».
La vita non è né bella né brutta: è originale, diceva Svevo, quale allora l’originalità del suo Zeno?
«Intanto ci sono due Zeno, perché tutto quello che succede in scena è come se fosse fatto rivivere dalla mia coscienza, da me che me ne sto in disparte e vedo ricrearsi i fatti salienti della mia esistenza, e quello che succede in scena altro non è che il mio pensiero, i miei ricordi che si materializzano: dallo schiaffo che mi dà mio padre morente alla fine del sodalizio commerciale con il cognato Guido, il bellimbusto che gli ha soffiato Ada, la sola donna amata forse perché la sola che gli si è rifiutata. E così mi rivedo giovane, in quell’età della vita, la maturità, che sembra fissarsi in qualche cosa di stabile, di duraturo».
Però ci sono due momenti in cui lei interviene direttamente in quello che accade in scena, quando dichiara il suo amore a Ada e poi ad Anna e poi Augusta, la meno bella delle sorelle Malfenti ma la sola che accetterà di sposarlo, e nelle scene con la giovane amante Carla.
«Sono le scene in cui la vita, sotto forma di tensione amorosa e sensuale dà ancora segni di forza e vigore: a suo modo di un benessere apparentemente raggiunto al punto che questo gli permette di essere o perlomeno sentirsi ancora vivo, di inseguire il suo istinto. Il tutto senza sensi di colpa, senza false ipocrisie. Amo Carla, sostiene Zeno, perché sto bene con Augusta, e anche questo è sicuramente un tratto di quell’originalità che Svevo racconta e che noi cerchiamo di comunicare al meglio».
Quanto c’è di attuale in questa messa in scena?
«Il sottolineare che, sembra dire Svevo, se la vita è qualcosa che ti può e può scivolare via senza che tu abbia avuto il tempo di coglierne il senso, ci penserà l’uomo nella sua contraddittorietà di grandezza e miseria a risolvere la questione: nel far deflagrare questo mondo, così come si immagina nella pagina conclusiva, bellissima, dove è descritta un’esplosione annientatrice che suona come una profezia dell’atomica che scoppierà 30 anni dopo, e della mutazione climatica e delle sue imprevedibili e catastrofiche conseguenze».
Quanto c’è di Alessandro Haber in questo suo Zeno Cosini?
«Zeno è Haber, nel senso che non sono un attore trasformista, quando recito io divento il mio personaggio, lo faccio entrare nella mia pelle, lo vivo come fossi io: una sensazione forte di verità che emoziona me per primo. Nel caso poi di Zeno, che cerca di sconfiggere malattie che sono immaginarie e che fa risalire allo schiaffo con cui il padre l’ha salutato in punto di morte – gesto che lo inchioderà per tutta la vita a un’analisi psicoanalitica inconcludente e di cui alla fine sembra farsi beffa, la sua inettitudine, la sua generosità e la sua nevrosi altro non sono che le maschere dietro alle quali nascondere la malattia più grave e inafferrabile che è la vita. E in questo devo dire che c’è molto molto di Haber».
E allora quali altri Haber ci aspettano nel prossimo futuro dopo questo Haber Zeno?
«A teatro sarò Pietro Emilio Belli, un giornalista in carrozzina di cronaca nera nello spettacolo La signora del martedì, un avvincente noir di Massimo Carlotto con Giuliana De Sio, e al cinema sarò in Romeo è Giulietta di Giovanni Veronesi al fianco di Sergio Castellito in un film che racconta la faticosa messa in scena di un regista teatrale in crisi di creatività e si aggrappa Shakespeare, e poi sarò il padre di Stefano Accorsi e di Fabio De Luigi nel film di quest’ultimo “50 km all’ora”».
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