Guance bianche e rosse: due vite intrecciate all’ombra della storia

Elisa Menon racconta un episodio tra i più controversi, la vicenda di Porzus con Elda Turchetti e Gino Persoglia

Tommaso Piffer
Elda Turchetti
Elda Turchetti

Sarà presentato sabato 4 ottobre, alle 18, in piazza Sant’Antonio a Gorizia, al Festival Quivivo in dialogo con Andrea Pomella, il libro di Elisa Menon, Guance bianche e rosse, (Einaudi, 176 pagine, 17 euro). Un’altra presentazione si terrà domenica 5 alle 11 a Ruttars, nella chiesa di San Vito e Modesto, sempre nell'ambito del festival.

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Due giovani vite intrecciate all’ombra della grande storia rivivono nel romanzo di Elisa Menon, ispirato a uno degli episodi più controversi della Resistenza italiana. Sono Elda Turchetti e Gino Persoglia, che si incrociarono alle malghe di Porzus in quel 7 febbraio del 1945 che è restato inciso nella memoria collettiva come una delle date più tragiche della storia recente.

Elda nel 1945 aveva 22 anni e una storia familiare dolorosa alle spalle. Operaia in un cotonificio di Udine, nel giugno del 1944 aveva accettato di lavorare per i fascisti attratta da un compenso che le serviva per mantenere la famiglia.

Per quel che ne sappiamo svolse solo compiti marginali e quando fu denunciata pubblicamente come spia si consegnò ai partigiani per chiarire la sua posizione. Salì alle malghe di Porzus nel dicembre del 1944, e qui rimase dopo essere stata processata e assolta dai partigiani dell’Osoppo.

Gino invece faceva il partigiano garibaldino con il nome di battaglia di Lula, e alle malghe salì il 7 febbraio del 1945 insieme al commando dei gappisti che uccisero Elda insieme ad altri 17 partigiani dell’Osoppo. Gino aveva 18 anni, ed era stato inquadrato in un battaglione formato proprio per l’azione alle malghe alla fine di gennaio.

La maggior parte dei suoi compagni veniva come lui da Ruttars, e più d’uno era minorenne. Nel dopoguerra la magistratura ne arrestò oltre una dozzina: i loro comandanti, intanto, erano stati fatti scappare all’estero del Pci. Gino, condannato a 18 anni di carcere, tornerà libero per amnistia all’inizio degli anni Sessanta.

Nel romanzo di Elisa Menon c’è tutto il dramma della Storia, che è fatta dalle idee che hanno insanguinato il Novecento: le passioni nazionali, il conflitto tra italiani e sloveni per il controllo del territorio, la contrapposizione tra fascismo e antifascismo e quella, iniziata in Friuli prima che nel resto d’Italia, tra comunismo e anticomunismo.

Ma insieme alle idee ci sono uomini e donne in carne e ossa. Uomini e donne che talvolta incarnano queste idee e danno loro un volto, contribuendo a indirizzare la storia in una direzione o nell’altra. Più spesso però sono semplicemente triturati dalla ruota della storia, consegnandoci una domanda di giustizia che emerge potente nelle pagine del romanzo. La domanda di giustizia per la vita di Elda, che viene uccisa in una guerra che non è la sua, o per la vita di Gino, coinvolto in una vicenda di cui forse non poteva vedere i contorni ma che gli segnerà per sempre l’esistenza.

C’è poi in questo romanzo tutta la complessità dell’animo umano, che resta in parte imperscrutabile allo storico così come all’artista, come l’autrice sa bene. Quanto si compromise davvero Elda Turchetti con i fascisti? Era una ragazza scaltra, che si presentò ai partigiani quando capì di non avere altre strade per aver salva la vita? Oppure era un’ingenua, finita in una storia più grande di lei? E che ruolo giocò veramente Gino nell’eccidio? Fu del tutto inconsapevole di quello che accadeva o fu un attore almeno in qualche modo cosciente della macchina omicida?

C’è infine in questo romanzo il peso del passato, e di una ferita che ha segnato profondamente la coscienza di tutto il paese e in particolare del Friuli. Una ferita che è stata particolarmente profonda in alcune comunità, come quella di Ruttars, e che Elisa Menon ha conosciuto bene, perché Gino Persoglia era suo nonno.

Una ferita resa più sanguinosa da decenni di omissioni, di silenzi e di storie non raccontate, ma che oggi si può superare guardandola in faccia senza pregiudizi come ha fatto l’autrice in questo romanzo bello e coraggioso.

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