Il successo delle Giornate del Cinema Muto, Weissberg: «Un linguaggio ancora vivo»

Il bilancio del Festival, nato nel 1982 e che oggi è diventato una festa planetaria. Fra le sezioni più amate, “Sei gradi di Chaplin” ha riportato il pubblico alle origini del genio comico

Cristina Savi
Jay Weissberg FOTO VALERIO GRECO
Jay Weissberg FOTO VALERIO GRECO

Quando le Giornate del Cinema Muto di Pordenone nacquero, nel 1982, sembravano un azzardo, un sogno per pochi appassionati. Oggi, oltre quarant’anni dopo, quell’intuizione si è trasformata in una festa planetaria del cinema delle origini: più di mille accreditati provenienti da 41 Paesi, 200 titoli da 40 archivi internazionali, 400 abbonati online collegati da ogni continente, e 4 milioni e mezzo di impression social che raccontano un entusiasmo in crescita. Pordenone si conferma così capitale mondiale del cinema muto e, grazie anche a questo, futura Capitale Italiana della Cultura 2027.

«Volevo dimostrare che il muto è ancora un linguaggio vivo – dice il direttore artistico Jay Weissberg – e credo che il pubblico lo abbia sentito, perché si è emozionato davanti a film che parlano di oggi tanto quanto di ieri».

Per lui, il punto non è soltanto l’attualità dei temi scelti, ma la vitalità di un linguaggio che continua a reinventarsi: «The Man Who Came Back, per esempio, è una metafora della rinascita, un film moderno per temi e per regia. E nei lavori su Palestina e Arras il pubblico ha riconosciuto il dolore e la speranza del presente».

Molte serate hanno registrato il tutto esaurito. Le orchestre di Pordenone e Lubiana hanno incantato con le esecuzioni dal vivo, mentre i pianisti internazionali hanno trasformato ogni proiezione in un’esperienza sensoriale unica. Fra le sezioni più amate, “Sei gradi di Chaplin” ha riportato il pubblico alle origini del genio comico: «È stato emozionante – ancora Weissberg - riscoprire i volti della compagnia Karno, capire da dove nasceva la sua arte. E non è affatto vero che su Chaplin non c’è più nulla da scoprire”. Accanto a lui, il festival ha restituito luce a figure dimenticate come Italia Almirante Manzini (progetto che continuerà nel 2026). Il suo “Zingari” ha rivelato una diva autentica e preparata».

Guardando al 2026, il festival approfondirà i film legati alla caduta della censura nella Germania del primo dopoguerra e proseguirà la mappatura del cinema regionale italiano, dedicandosi al Lazio. «La storia del cinema muto italiano è ancora un territorio da esplorare», racconta Weissberg, che già lavora a nuovi restauri e collaborazioni con archivi europei. Alla guida del festival da dieci anni, il direttore conosce bene il suo pubblico: «I pordenonesi, insieme agli accreditati, hanno un rapporto unico con le Giornate. Riempiono la sala alle nove del mattino e restano fino a mezzanotte. È una fiducia che commuove».

Dopo Parigi, dove dal 29 ottobre al 18 novembre sarà presentata una selezione dei film, le Giornate torneranno a Pordenone dal 3 al 10 ottobre 2026. Domenica, intanto, alle 16.30, si replica “Our Hospitality “, (Accidenti… che ospitalità!), del 1923, il primo lungometraggio di Buster Keaton. 

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