Red Canzian: «Il Friuli subito ricostruito e quella voglia di speranza che aiuta»
L’ex Pooh al teatro Lavaroni di Artegna per il “Giubileo della Speranza” ha presentato Cento parole, il libro che raccoglie i vocaboli della sua vita. «L’amicizia ci ha tenuti uniti per sessant’anni. E la libertà è la mia vera ricchezza».

“Cento parole” il libro scritto da Red Canzian, batterista dei Pooh, non è una biografia, ma un viaggio nella memoria e nella speranza. Anche per questo giovedì sera il musicista trevigiano, è stato ospite, su iniziativa degli “Amici del Teatro” al Lavaroni di Artegna all’interno di una serie di iniziative per il “Giubileo della Speranza”.
Canzian si è raccontato accompagnato in questo viaggio dalla giornalista di Avvenire Lucia Bellaspiga. Red, sempre molto empatico, è entrato subito in sintonia con il pubblico e prima di raccontarsi attraverso alcune delle cento parole che più lo hanno seguito nella sua vita di uomo e artista, ha voluto ricordare che «un anno o poco più dopo la tragedia del terremoto in Friuli del ’76, i Pooh vennero a suonare in una discoteca qui vicino e rimanemmo esterrefatti da come la ricostruzione e la rinascita fossero già in stato così avanzato. La determinazione, la perseveranza sono sempre state qualità del friulano che per questo è ammirato ovunque». Quella discoteca era ovviamente “La Grotta” un tempo storico ritrovo dei giovani non solo friulani che dista a un chilometro dal teatro dove Red si è raccontato.
Si è partiti dalla parola “abbraccio” in tutte le sue sfaccettature, da quello per la moglie, quello per una figlia fino a quello al nipotino Gabriel: «E lì capisci che l’unico sentimento che non morirà mai è l’amore». A come abbraccio, come amore, ma anche come amicizia: «Se i Pooh il prossimo anno festeggeranno sessant’anni di attività è perché l’amicizia ha avuto un ruolo ancor più importante della musica nel tenerci uniti». Senza perdere di vista il senso della misura e della realtà come accade a certi giovani musicisti di oggi: «Se non hai fatto la gavetta arrivi al successo senza le spalle grosse e il rischio di non reggere è forte. I manager poi ci mettono del loro costruendo attorno al loro musicista una sorta di corte fatta anche di guardie del corpo. Noi in sessant’anni non ne abbiamo mai avute, io stamattina ero a fare la spesa al supermercato con mia moglie e spingevo il carrello senza rinunciare alla mia libertà».
Le radici, i buoni esempi fanno sempre la differenza. Red ha raccontato della sua passione per la musica nata sin da piccolo. «Volevo una chitarra elettrica rossa che faceva bella mostra in una vetrina di Treviso, quando arrivammo in negozio mio padre capì che non poteva permettersela e a me sembrava di averlo umiliato. Ripiegammo su una acustica che dovette pagare a rate». Definisce «povertà dignitosa», quella della sua famiglia. «Mio padre affittò l’auto per portarci qualche giorno in vacanza a Jesolo, rientrò a Treviso per restituirla e poi ci raggiunse in pullman. Questo era papà». E molto altro. Il suo primo fan, per esempio: «Lui e mamma mi accompagnavano a fare serate nei locali: con loro due, il barman e i presenti era già tanto se si superavano le venti unità».
Canzian sfoglia l’album dei ricordi e delle foto con grande leggerezza e al tempo stesso profondità. Il look per sentirsi avanti con i tempi e costruito in maniere a dir poco artigianale ma che poi otteneva l’effetto sperato, il provino fatto assieme a Ron per il film di Luchino Visconti “Morte a Venezia” («presero il terzo candidato, ma poi non si sa che fine abbia fatto»), la capacità di gestire il successo e di saper stare in mezzo alla gente: «Sorridere è molto meno faticoso che tenere il broncio: per quest’ultimo bisogna usare più di settanta muscoli, per sorridere dodici». Poi aggiunge: «Queste cento parole le ho spogliate e le ho rivestite a modo mio e il fatto che più di qualcuno si sia sentito meglio per l’interpretazione data ad alcune, mi ha gratificato». Non cancella niente della sua vita. «Nemmeno le cose brutte, ho avuto tre problemi di salute piuttosto seri, ma ne sono uscito, non ho dato soddisfazione al male, non gli ho creduto, ho avuto l’insolenza del supereroe». Per poi ritornare a essere una persona normale. «Quando me lo dicono è il più bel complimento che mi possano fare». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto