Quel complotto friulano per uccidere Mussolini: il libro dello storico Mimmo Franzinelli

Un libro sugli attentati fa riemergere il caso di Zaniboni. «Figura ambigua, è quello che mi ha appassionato di più»

Valerio Marchi
Mimmo Franzinelli, storico del fascismo
Mimmo Franzinelli, storico del fascismo

È uscito da poco l’ultimo lavoro di Mimmo Franzinelli, illustre storico del fascismo e dell’Italia Repubblicana. Colpire Mussolini. Gli attentati al duce e gli albori della dittatura fascista, appena edito da Mondadori, si occupa a un secolo di distanza di quattro falliti tirannicidi che, tra il novembre del 1925 e l’ottobre del 1926, ebbero l’effetto opposto a quello sperato: la dittatura fascista, infatti, li sfruttò per consolidarsi.

Una metà del libro verte sui tre attentati del 1926, di cui furono protagonisti la mistica irlandese Violet Gibson (che a causa dei suoi problemi psichici finirà in manicomio) e gli anarchici Gino Lucetti (condannato a trent’anni di carcere ma tragicamente deceduto nel 1943, dopo essere stato liberato dagli Alleati) e Anteo Zamboni (che morì linciato dalla folla). Soprattutto in quest’ultimo caso, Mussolini reagì: con le leggi eccezionali, la pena di morte, il tribunale speciale.

L’altra metà del libro, che attinge a copiose fonti inedite, è dedicata al caso dell’onorevole socialista mantovano Tito Zaniboni, il cui tentativo risale al 4 novembre 1925. Franzinelli spiega che «il Friuli, seconda patria di Zaniboni, era il retroterra in cui, dopo la guerra, egli aveva mantenuto numerosi contatti», e che «presso un’osteria a Urbignacco, frazione di Buja – quasi un rifugio per lui –, egli poteva contare su solide conoscenze». È comprensibile, dunque, che la sua storia desti particolare interesse nel nostro territorio.

Di essa si era già occupato, in Friuli, con un meritorio scavo localistico, Dino Barattin nel libro Tito Zaniboni e il complotto friulano per uccidere Mussolini (pubblicato nel 2011; in edizione riveduta e ampliata nel 2022): «E gli sono grato – dice Franzinelli – perché è stato cortesissimo, mi ha passato tanto materiale e ci siamo confrontati sulla ricerca, della quale ha letto le bozze. Allo stesso modo ringrazio Giancarlo Cobelli e Alberto Crosato, due storici locali di Monzambano, il paese originario di Zaniboni».

Studiando queste vicende – continua Franzinelli – appuriamo come una dittatura possa strumentalizzare casi del genere, gonfiandoli per stabilizzare il proprio potere e facendo credere al Paese di essere sull’orlo di un crollo». Ma si può dire, allora, che gli attentati in oggetto hanno cambiato l’Italia? «In un certo senso sì – risponde – perché hanno dato l’opportunità al regime di diventare totalitario, di eliminare le opposizioni con la giustificazione, propagandata anche da una stampa asservita, che essere antifascisti equivalesse tout court ad essere anti-nazionali o addirittura terroristi: una dinamica simile, per quanto in contesti diversi, a quelle dell’incendio del Reichstag, sfruttato da Hitler, e dell’uccisione di Kirov, sfruttata da Stalin».

«Il caso di Zaniboni – riferisce Franzinelli – è quello che mi ha più appassionato e per il quale ho trovato un’enorme quantità di materiale sia con riferimento agli anni precedenti all’attentato sia per i periodi della prigionia, del confino e degli anni successivi, che riservano al lettore alcune succose sorprese. Su Zaniboni ci sono luoghi comuni, però ora la sua figura emerge meglio fra luci – fu senz’altro, ad esempio, un eroe di guerra – e tante ombre, ad esempio per il suo comportamento ambiguo nei rapporti con Mussolini e Matteotti».

Se poi ci domandiamo quale effettivo pericolo Zaniboni abbia rappresentato per il regime, Franzinelli ha le idee chiare: «In realtà, tutto fu manovrato dal regime. Farinacci sapeva bene ciò che egli stava ordendo, ma non volle fermarlo prima, per bloccarlo in flagrante e montare il caso che avrebbe permesso a Mussolini di sciogliere sia il partito socialista di Matteotti (dal quale peraltro Zaniboni era stato espulso!) sia la Massoneria, con la quale l’attentatore era in contatto. Se mi si permette una battuta, Zaniboni è stato per Mussolini un… “uomo della Provvidenza”». 

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