Giacomuzzi scopre “la frute”: «L’essenza di un’artista riassunta nel mio docufilm»
Lunedì 24 luglio apre con due proiezioni del giovane regista friulano la rassegna Mittelimmagini: nel suo lavoro emerge un’immagine intima della fotografa carnica Ulderica Da Pozzo

UDINE. Si apre oggi, lunedì 24 lugliom alle 21.30 all’interno della programmazione di Mittelfest 2023 la rassegna Mittelimmagini dedicata agli audiovisivi prodotti in regione con artisti della nostra regione. E lo fa, al Curtîl di Firmine, uno spazio suggestivo nel centro storico di Cividale generosamente messo a disposizione del festival dalla famiglia Danelone, con due docufilm del giovane regista friulano Stefano Giacomuzzi, Ulderica, frute di mont e Martinis, ritratto d’artista.
Si tratta di due lavori imperniati attorno a due artisti della nostra regione, autentici spesso defilati, molto profondamente legati al loro lavoro, estranei a logiche di mercato o di autocelebrazione.
La fotografa carnica Ulderica Da Pozzo e lo scultore Luciano Martinis. «Si tratta di film commissionatomi da Dorino di Agherose che ho trovato subito affini ai miei interessi – racconta il regista Giacomuzzi – ossia al cortometraggio e al documentario su personaggi schivi ma veri, autentici come gli artigiani dei miei primi lavori. E Ulderica e Luciano, da questo punto di vista rispondevano in maniera perfetta a questa mia poetica, diciamo. Con Ulderica poi il fatto che sia una fotografa, e di fotografia sono appassionato, tutto è stato ancor più entusiasmante. C’è affinità tra il mestiere del fotografo, che è mestiere solitario, e il mio modo di fare documentario, un modo di fare cinema molto indipendente con troupe ridotte al minimo quando non sono da solo».
Questo non è stato il primo lavoro di Giacomuzzi con Da Pozzo: «Ulderica – racconta – l’ho conosciuta in occasione del mio primo film in Carnia, Sotto le stelle fredde, quando mi sono avvalso della sua straordinaria conoscenza della Carnia. Però non ci conoscevamo a fondo. Con Frute di mont questo è accaduto e al di là del risultato del film è stata occasione per conoscerci più a fondo e anche certi preconcetti che avevo su di lei sono stati felicemente superati. Devo poi aggiungere che nell’affrontare questi lavori c’era in me entusiasmo e anche reticenza soprattutto per i tempi strettissimi che avevo e poi perché era la prima volta che mi cimentavo nei mediometraggi. L’incontro con Ulderica però mi ha aiutato molto a diradare tutti i dubbi che avevo e lavorare con lei è stato un grande piacere e il film questo tradisce, dal momento che si è realizzato quasi spontaneamente, da sé».

Quanto all’organizzazione del lavoro, «dapprima – spiega Giacomuzzi –c’è stata un’intervista di quasi tre ore, che è un po’ l’impianto drammaturgico del film. Che figurativamente invece si svolge tra le montagne, i paesaggi nevosi i boschi e negli incontri con alcune persone della Carnia».
La figura che affiora da questo lavoro è «una Ulderica – dettaglia Giacomuzzi – che ben si sposa alla definizione che di lei ha dato Paolo Rumiz, “allegra e catastrofica”, perché incarna valori e caratteristiche contrastanti, da un lato molto ruvida e dall’altro incredibilmente tenera, ad esempio. Una frute!».
Ulderica si dice d’accordo con questa definizione «anche perché nel film – commenta – diventa preponderante quel mio essere molto diretta, tipico di un’anima bambina, dal momento che ho sempre cercato di tenere da cont che frute. Anche se lui ha un po’ enfatizzato il mio rapporto contrastato con la morte, che certo soprattutto nell’infanzia mi ha in qualche modo segnato. In definitiva dal film emerge, e di questo sono molto contenta, il mio lato umano, il modo in cui affronto i lavori e la vita in generale, piuttosto che la Ulderica fotografa. Si parla poco dei miei lavori, e in un primo momento l’ho anche rinfacciato a Stefano. Che si è anche un po’ risentito, ma poi conoscendomi e sapendo che quello che ho in testa ce l’ho anche sulla bocca, cosa di cui spesso sono la prima a rammaricarmi, mi ha perdonato e tutto è filato all’insegna di un gran bel rapporto umano e di lavoro».
Rispetto al documentario su Luciano Martinis, Giacomuzzi, chiarisce che l’idea era quella di restituire i suoi molti volti, il suo eclettismo che lo porta ad essere scultore, lavorando soprattutto con materiali di scarto, ma anche raffinato e colto collezionista di arte africana, editore, musicologo e artigiano. E quel suo essere pudico e umile che lo rende un artista di profonda umanità.
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