Franco Loi, il poeta che raccontava la gente e aveva un rapporto speciale con il Friuli

L’intellettuale milanese morto a 90 anni è stato spesso ospite nella nostra regione e ha vinto anche un premio Nonino 
Verucchio, 09-04-2011.LOI Franco, writer and poet.© BASSO CANNARSA
Verucchio, 09-04-2011.LOI Franco, writer and poet.© BASSO CANNARSA

il ricordo



Franco Loi, il poeta scomparso lunedì sera a 90 anni, aveva un particolare legame col Friuli che risaliva alla sua giovinezza e non dimenticava mai di ricordare. Nella Milano operaia del secondo dopoguerra aveva infatti conosciuto e frequentato, soprattutto nelle osterie e in riunioni di cultura popolare, Giulio Trasanna, scrittore e poeta autodidatta e irregolare di origine friulana.

Nato in Svizzera nel 1905 da un padre che aveva presto abbandonato lui e il fratello e da una madre friulana tornata coi figli a Udine durante la Grande Guerra, Giulio Trasanna aveva vissuto da ragazzino la ritirata di Caporetto; nel primo dopoguerra si era dato al pugilato diventando campione del Friuli e si era poi trasferito a Milano, cercando nella cultura il riscatto dal suo passato di miseria. Attraverso lo studio e le intense frequentazioni intellettuali era divenuto collaboratore di alcune testate e aveva avviato il progetto di un grande romanzo rimasto incompiuto. Come ha scritto di lui Franco Loi, «era un intellettuale disorganico a tutto, anche alla realtà concreta del vivere». All’inizio della guerra si era sposato con una friulana originaria di Grizzo di Montereale Valcellina, che aveva rafforzato i ruoli con queste terre nel dopoguerra, ed era morto dopo breve malattia nel 1962, proprio dopo un viaggio in Friuli. Questo ha poi indotto Loi a ripercorrere le sue tracce in questa regione e a curare alcuni scritti sparsi di Trasanna nel libro “Una camera di legno dolce” pubblicato a Milano da Mondadori nel 1991.

I viaggi di Loi in Friuli non si contano, in varie occasioni principalmente legate alla sua produzione poetica dialettale, ospite soprattutto del Circolo Menocchio di Montereale Valcellina, ma anche della Provincia di Pordenone e in anni più recenti di “Cultura globale” di Cormons. Aveva vinto anche un premio “Nonino”. Era molto interessato alla poesia in friulano e ai numerosi poeti che la esprimevano, con cui manteneva relazioni e che spesso recensiva nella sua rubrica domenicale del “Sole-24 ore”. In particolare, era stato legato da profonda amicizia con Amedeo Giacomini, di cui sopportava gli eccessi da “poète maudit”. Come il suo “maestro” di gioventù Giulio Trasanna, Franco Loi era per molti versi un intellettuale atipico, legato alla vita dei ceti popolari, tanto che trovò naturale esprimersi in dialetto milanese, proiezione di un mondo operaio immaginario, mitico e utopico, che si faceva “coscienza storica nella serie di lotte e sconfitte del proletariato europeo” (come scrisse di lui Franco Fortini).

Loi non rinunciava a immissioni linguistiche diversificate e ad effetti iper-realistici e visionari. Diceva di ascoltare e reinterpretare la vita nei dialoghi per strada, nei mezzi pubblici, all’uscita dalle fabbriche e dagli uffici. Arrivato tardi alla poesia grazie alla spinta di Vittorio Sereni, era come un fiume debordante, ove confluivano aspetti autobiografici sovrapposti a un turbinio di personaggi e figure e a vicende storiche drammatiche. Da “Strolegh”, che lo aveva consacrato nel 1975 con l’edizione Einaudi, le sue pubblicazioni si erano infittite (citiamo tra tutte “Teater”, “Liber”, “L’Angel”). Nell’ultimo periodo, i seri problemi alla vista e altri acciacchi lo avevano tenuto lontano dal Friuli. —



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