Franco Cardini: «La Storia va riletta, un Medioevo meno eurocentrico»

Lo scrittore presenta a Lignano il suo ultimo saggio. «Rimediamo agli errori del passato»

Mario Brandolin

C’è un’angolazione nuova, una prospettiva diversa con la quale leggere la storia, quella del Medioevo in particolare, che lo storico Franco Cardini propone nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con Marina Montesano, ed è la prospettiva della globalità.

Medioevo globale. Avventurieri, viandanti e narratori a Samarcanda si intitola il volume, pubblicato da Piemme, che intende dare una visione meno eurocentrica di questo tratto di storia dell’umanità e che sarà al centro della seconda Notte d’estate della rassegna di spettacoli incontri e pensieri organizzata dal Comune a Lignano martedì 18, alle 21, nel parco di Santa Maria del mare con Cardini in dialogo con chi scrive.

«Si tratta di un lavoro – dice lo storico specialista di Medieovo e Islam– che intende rimediare agli errori di un’impostazione storiografica ormai inveterata che è quella di non aver ancora superato l’eurocentrismo.

Per cui, nonostante continenti come quello asiatico siano entrati di prepotenza nel nostro mondo, nei rapporti economici, nel gusto, persino nel cibo, a livello di insegnamento della storia continuiamo a trattarli come fossero continenti, paesi e popoli senza storia.

Siamo sempre molto colpiti da tragedie come la Shoah, ma nulla si insegna di tragedie altrettanto atroci e stermini che noi occidentali abbiamo provocato in giro per il mondo, nei paesi che abbiamo colonizzato».

Questa ignoranza che cosa ha comportato e comporta per noi, oggi?

«Ad esempio comporta una posizione aberrante nei confronti di una tragedia che dura da anni e ha ridotto il Mediterraneo in un cimitero. Pensiamo, eurocentricamente, che questi migranti scappino dalle guerre e dalla miseria causate dalla loro ignoranza, dal loro essere estranei alla modernità: ma avremmo dovuto essere noi a introdurli alla modernità, invece di sfruttarli, come attraverso le grandi lobbies abbiamo fatto e continuiamo a fare.

E queste cose non le diciamo, tanto meno nei testi di storia dove dovrebbero stare, oltre che nella coscienza generale. E poi, quando capitano eventi, come la guerra in Ucraina, siamo assolutamente impreparati a capire il perché questi succedono e ci lasciamo convincere dal primo imbonitore che grida più forte».

Da qui il racconto del Medioevo in una visione globale, affidando a dieci personaggi di fantasia, ma molto ben caratterizzati, dieci racconti in cui si rifa la storia del medioevo, dalla caduta dell’impero romano alla metà del secolo XIV, ma con uno sguardo a quello che in contemporanea succedeva di là, in oriente.

«Come nel Decameron o nei Racconti di Canterburyquesto nostri personaggi trascorrono dieci serate a esporre non tanto la storia del continente che hanno visitato, ma quella dell’Europa vista da loro che hanno avuto contatti con culture diverse e perciò vedono in una luce differente anche l’Europa.

Si tratta di dieci europei, che hanno lavorato in Asia come missionari, diplomatici, mercanti convenuti a Samarcanda al centro della via della seta, siamo a metà del ‘300, in attesa di rimpatriare in Europa, visto la peste incipiente con l’impero mongolo che sta franando».

E cosa scopriamo?

«Ad esempio che le risorse europee e mediterranee sono molto limitate rispetto alle immense ricchezze del mondo asiatico, cinese, indiano. Per dire che si deve cercare, attraverso l’insegnamento, di allargare le nostre dimensioni culturali, risvegliare una coscienza non più eurocentrica dal momento, ripeto, che noi tutti i giorni con questi mondi diversi dal nostro occidentale, a livello pratico, condividiamo la scena economica e sociologica, scambiamo merci con tutti ma ignoriamo la loro storia».

C’è alla fine nel libro un senso profondo di rispetto e di tolleranza tra tutti i personaggi, pur nelle loro evidenti diversità.

«E questo è anche un po’ il messaggio che abbiamo voluto lanciare con questo libro, che la conoscenza e la necessità di moltiplicare il più possibile i punti di vista non generano violenza, ma capacità di rispettarsi gli uni con gli altri».

E a proposito di mancata conoscenza, lei prima ha citato la guerra in Ucraina, come la vede? sappiamo che la sua posizione è piuttosto divergente da quella della maggioranza dei media e della classe politica.

«Mi hanno accusato di essere putinista, cosa che non sono, convinto come sono che Putin ha fatto non solo un grande errore, ma soprattutto un crimine, anche se in risposta a delle provocazioni che la Nato ha fatto negli ultimi 30 anni, allargandosi verso Est, puntando a un macro continente euroasiatico di Paesi arancione, in cui viga una democrazia di tipo occidentale, paesi legati all’economia del dollaro, egemonizzati dagli Usa.

Usa che giocano alla superpotenza egemonica, quando dall’altra parte non c’è il vuoto, come un tempo, ma la Cina nuova superpotenza emergente, che tra l’altro ha in tasca buona parte del debito pubblico americano e che potrebbe perciò dare il via a una grande e pericolosa instabilità.

Credo che Putin non pensi affatto di ristabilire il grande impero sovietico, come paventato da molti nostri commentatori, penso che la guerra debba essere risolta per via diplomatica, ma una via diplomatica condivisa e non imposta, come quella che vorrebbe il presidente ucraino o lo stesso Biden, che non ha mai fatto, a differenza di Putin, una sola proposta di soluzioni concrete di pace se non la resa incondizionata di Mosca e questo è perlomeno irrealistico».

Che ne pensa della posizione della nostra premier?

«Sinceramente non capisco questo suo dichiararsi punta di diamante di un’alleanza con gli Usa. Per lei che è sovranista, diventare collaborazionista della potenza americana può rappresentare un passo falso.

Anche ricordando il passato da cui Meloni proviene, il collaborazionismo non porta sempre bene. Visto anche le personalità, a dir poco fragili, quando non imbarazzanti di cui si è circondata».

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