Esce “TIR”, l’anteprima è al Verdi di Pordenone

UDINE. L’attesa del pubblico è quasi finita: i riflettori stanno per accendersi nuovamente su TIR, il film con cui il regista friulano Alberto Fasulo ha vinto il Marc’Aurelio d’Oro al recente Festival Internazionale di Roma. Da giovedì 27 febbraio, infatti, la storia di Branko e del suo camion sarà distribuito nelle sale italiane dalla Tucker. L’anteprima regionale è programmata per lunedì 24, al Verdi di Pordenone, mentre gli spettatori udinesi potranno incontrare i protagonisti (regista, attore e produttrice) al Visionario proprio il 27 febbraio.
La storia di Branko, dicevamo. Un ex insegnante di Rijeka diventato da qualche mese camionista per un’azienda di trasporti italiana. Una scelta più che comprensibile dato che adesso guadagna tre volte tanto rispetto al suo stipendio d’insegnante. Eppure tutto ha un prezzo, anche se non sempre quantificabile in denaro. Da piccoli ci dicevano: «Il lavoro nobilita l’uomo». Ma qui sembra diventato vero il contrario: è Branko, con la sua efficienza, la sua ostinazione, la sua buona volontà, a nobilitare un lavoro sempre più alienante, assurdo, schiavizzante...
La sceneggiatura, che nel 2010 si è aggiudicata il premio Solinas, unisce le firme di Fasulo, Carlo Arciero, Enrico Vecchi e Branko Zavrsan. Il film è prodotto dalla società friulana Nefertiti Film (Nadia Trevisan e Alberto Fasulo) e coprodotto dalla croata Focus Media (Irena Markovic), in collaborazione con Rai Cinema. Il ruolo di Branko è stato affidato all’attore sloveno Branko Zavrsan (Rosencrantz e Guildenstern sono morti, No Man’s Land) che «recita senza recitare», indossando con sorprendente naturalezza i panni del camionista: ha trascorso lunghi mesi in cabina dopo aver conseguito la patente prevista dal codice della strada!
«Ancora prima che un film su un camionista – spiega Fasulo, classe 1976, debutto con Rumore bianco nel 2008 – TIR è un film su un paradosso: quello di un lavoro che ti porta a vivere lontano dalle persone care per cui stai lavorando. Il processo di scrittura è durato più di quattro anni. Durante questo tempo ho alternato fasi di ricerca sul campo ad altre in cui ci fermavamo a riflettere sul materiale raccolto, in una continua tensione creativa fra elementi di finzione e di documentario». E ancora: «Più che fare un racconto sociologico, mi interessava entrare sotto la pelle del mio personaggio e riprenderlo in un momento di crisi personale, in cui si vedesse obbligato a compiere una scelta non solo pratica, ma anche etica».
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