Enrico Galiano: «Il mio nuovo libro sarà on the road»

Il prof dopo il successo di “Eppure cadiamo felici” «Sarà un romanzo corale con più azione»
63° TRENTO FILM FESTIVAL Montagna / Società / Cinema / Letteratura Incontro: I MISTERI DELLA MONTAGNA con MAURO CORONA
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Non nasconde la soddisfazione Enrico Galiano, il prof più celebre della regione e fra i cento migliori d’Italia, secondo la classifica stilata da master prof.it: il suo
Eppure cadiamo felici
è alla terza ristampa. Gli è appena stato comunicato dalla Garzanti, per la quale pubblicherà, nella prossima primavera, anche il nuovo libro. «Ormai siamo al 90 per cento del percorso», ci dice, mentre prepara le valigie per un tour che lo porterà a presentare nelle librerie della Toscana e della Puglia il romanzo che lo ha consacrato scrittore. Sarà, la sua prossima “creatura”, una sorta di road movie, dove tutto accade in un giorno. Protagonisti ancora gli adolescenti, «tre questa volta», per un romanzo corale che «a differenza del primo conterrà più azione». E fine delle anticipazioni per il prof pordenonese, ancora intento a godersi il successo di un libro che attraversa i temi dell’età più difficile, diventando una sorta di continuazione di ciò che il suo autore fa in classe. «Dai messaggi che ricevo capisco che molti rivedono nel libro il modello di insegnante che cerco di trasmettere». Del resto come non amare alla follia un professore che usa i social come e meglio della generazione 2.0 ma spegne la luce in classe e declama ai ragazzi poesie di Pasolini ed Emily Dickinson, sguinzagliando poi gli alunni in giro per il paese per lasciare i versi scelti nei luoghi più impensati e lontani dalla poesia? Chi non lo vorrebbe – o non avrebbe voluto - questo novello Keating (il prof de
L’attimo fuggente
, per intenderci)? «Questa è un po’ la vetrina, in realtà il rapporto con gli studenti è molto delicato, si costruisce giorno dopo giorno e si fonda soprattutto su un grande rispetto, ma reciproco davvero, perché spesso lo esigiamo, da loro, ma altrettanto spesso non lo diamo. Rispetto significa ascoltarli, capire le loro esigenze: in questo loro periodo di trombe d’aria emotive è pericoloso prescindere dall’aspetto relazionale e concentrarsi sulla didattica».


Galiano insegna da sei anni in una piccola scuola media di Pravisdomini. 130 studenti, in un paese di poco più di tremila abitanti. Una dimensione ideale, quasi familiare «con un pool affiatato e la possibilità di portare avanti diversi progetti».


Fra poco si ricomincia, Galiano. Cosa chiede per la scuola italiana? Facciamo due ipotesi: la prima, ancorata alla realtà, la seconda più ideale. «Mi piacerebbe che il ministero avviasse progetti realmente a lungo, lunghissimo termine e non legati al presente, altrimenti è come quando in classe si continua a cambiare insegnante. La riforma della buona scuola un tentativo di pensare al futuro l’ha fatto e ha comunque avuto il pregio, dopo anni di soli tagli, di aggiungere risorse, poi possiamo discutere su come sono stati spese». L’utopia? Che l’Italia si allineasse ai maggiori paesi europei e investisse il doppio di quanto fa ora nella scuola in rapporto al Pil. Poi fisserei a 15 il tetto massimo di alunni per classe: quando nei hai 28 sei più un baby sitter che un professore. Infine introdurrei un sistema oggettivo di valutazione per gli insegnanti, con ispettori esterni (nient’altro che altri insegnanti) che magari un’ora alla settimana andassero nelle classi a verificare il lavoro dei colleghi) e obbligherei gli insegnanti a diventare periodicamente a loro volta studenti (assistere alle lezioni dei colleghi è utilissimo)».


Galiano, lei che sembra conoscerli così bene questi adolescenti che spesso ci appaiono come creature aliene, qual è oggi la loro maggiore difficoltà?


«A parte quelle che da sempre tutti vivono a quell’età, oggi hanno poca fiducia nella capacità della scuola di dare loro un futuro e poi sono sempre più scollegati dal mondo reale. Non voglio assolutamente demonizzare i social, ma è innegabile che li portino ad astrarsi dalla realtà vera e dai rapporti umani».


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