Enos Costantini e la vita nei campi: la saggezza del mondo contadino
Oggi, alle 18, a palazzo Belgrado, su iniziativa della Filologica friulana, sarà presentato il volume di Enos Costantini “Ce vitis tai cjamps” .
Gian Paolo Gri
Tekoa? Solo pochi e irriducibili lettori dell’Antico Testamento ricordano Tekoa, un villaggio di contadini e pastori, una quindicina di chilometri sotto Gerusalemme. Lì viveva Amos, pecoraio e coltivatore di sicomori. Investito dal soffio di Yahweh, Amos venne mandato a predicare nel Nord, a Samaria, nel regno dell’abbondanza (di pochi). Lassù i lavoratori dei campi erano alla disperazione: i prezzi erano fissati dagli affaristi di città; latte, grano, orzo, fichi e capretti pagati una miseria. Amos è stato il primo profeta a mettere in scrittura le proprie esperienze e visioni; i suoi oracoli sono particolarmente duri e incisivi: una litania di sferzate sulla schiena di una società di pasciuti che presumeva di essere moderna e intelligente. Profeta inascoltato, come sempre succede; e tre decenni dopo le sue denunce, come sciame di locuste gli assiri sono calati sul regno d’Israele.
E Surisins? Da Surisins (di Sopra o di Sotto, a seconda dei casi; località che non trovi sulla carta del Friuli, eppure più vera dei paesi veri) osserva il mondo Enos Costantini. Surisins è un paese che odora ancora di letame, dove non si è rotto il rapporto fra i campi e la tavola, dove si parla un rude friulano, dove chi scrive e predica usa una strana lingua in cui l’italiano impasta in maniera creativa friulano e inglese: fasui te cite e agrobusiness, litum e big food.
Amos, Enos: i due nomi anche si richiamano, fanno rima; a distanza di 2750 anni rimandano allo stesso fondo culturale radicato nei campi e nei prati, sono alimentati dallo stesso sdegno. Non ho potuto fare a meno di associarli, leggendo la sequenza degli oltre 130 corsivi che l’amico di Surisins ha trasferito dall’oralità alla scrittura, dopo sette anni di misurati interventi nella rubrica “Vita nei campi” della Rai regionale, la domenica mattina.
Domenica è giorno di prediche: i preti in chiesa, Enos alla radio; risultati diversi? Associandoli mi è venuto da pensare che il compito dei profeti, se non sono fasulli e asserviti, non è cambiato: guardarsi attorno da uomini liberi, dire pane al pane e vino al vino, distinguere con mente lucida e interpretare i segni della storia, cercare parole efficaci per dire e convincere, non stancarsi di chiedere un cambio di direzione. Regolarmente inascoltati; inascoltati, in realtà, dalla classe dirigente e dagli arricchiti sulle spalle di chi lavora la terra; ascoltati con apertura di cuore, invece, dai semplici e dagli assetati di verità, da quella parte del mondo contadino, in particolare, che da diecimila anni tiene saldamente la prima fila nella processione degli sfruttati, eppure non si rassegna.
Enos Costantini scrive bene come pochi; mastichi i suoi corsivi e li gusti come la slèpe di formadi e la fetta di salam fumât che lui sa ancora scovare, in giro per il Friuli. Perché le cose buone, irriducibilmente diverse, ancora ci sono, e resistono, e sono il futuro, non il passato. Cose che prima di saperle rincorrere, devi volerle trovare. A reggere questi piccoli saggi di bravura sta l’idea forte del triangolo formato da agricoltura, alimentazione, salute; a renderli interessanti è l’intreccio di agronomia e linguistica, di economia, botanica, demografia, storia orale, cultura materiale, e altre sapienze ancora. Leggendoli e gustando l’abilità di scrittura, l’ironia, la capacità di cogliere i risvolti e rivoltarli, ritrovo con nostalgia lo spirito delle migliori pagine dedicate da Giorgio Ferigo a dimostrare la stupidità dei burocrati e degli incantati dai suonatori di piffero. —
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