Emilio Solfrizzi porta in scena L’anatra all’arancia: «Una commedia sulla resilienza e sull’amore»
L’attore torna in Friuli con Irene Ferri per una tournée tra Monfalcone, Udine, Codroipo e Maniago. «Ridiamo per resistere: il teatro è verità, non finzione»

L’anatra all’arancia richiede una lunga preparazione ai fornelli, il tempo necessario affinché una coppia in tumultuoso atteggiamento possa raggiungere una tregua. Il piatto pare appartenere alla cucina toscana del XV secolo sebbene lo si affianchi spesso a quella francese.
È un titolo ormai iconico del teatro fine Sessanta e, soprattutto, del cinema dei Settanta (immortale è la pellicola di Luciano Salce del 1975 con Tognazzi-Vitti).
“L’orange amère” è l’insegna scelta da Marc-Gilbert Sauvajon che, di fatto, cancellò l’iniziale “The Secretary Bird” dello scozzese William Douglas-Home facendo rimbalzare l’opera in tutti i teatri del mondo.
«L’originale non ebbe un gran successo», precisa Emilio Solfrizzi protagonista assieme a Irene Ferri — con mamma friulana di San Giovanni al Natisone — della celebre pièce. «Con il cambio di locandina la commedia prese velocità diventando quello che è, ovvero un caposaldo della prosa cosiddetta feuilleton, percorso seminato di trabocchetti e di umane miserie, ma ricco di vitalità».
Il tour in Friuli della compagnia Molière sarà corposo: oggi, lunedì 3, e martedì 4 al Comunale di Monfalcone, a cura dell’Ert, il 5, il 6 e il 7 al Giovanni da Udine, l’8 a Codroipo e il 9 a Maniago.
Sono scivolati via cinquant’anni dalla pellicola cult. Mezzo secolo che non ha minimamente intaccato la freschezza del testo. Concorda, Solfrizzi?
«Accade solamente ai classici di attraversare il tempo senza perdere l’energia. Sta poi a chi affronterà il lavoro, decenni e decenni dopo la prima stesura, metterci del suo, altrimenti ogni rappresentazione assomiglierebbe alle altre. Tocca distinguere, però: il cinema si prese la storia e la allestì osservando le proprie esigenze, il teatro solca altri mari e, comunque, si rifà allo scritto nato per il palcoscenico, riletto dal commediografo francese Sauvajon che lo rese più caldo rispetto all’algido spirito britannico».
Un lui e una lei che si fanno la guerra perché l’uomo, non proprio un santo, scopre il tradimento della moglie. Entrano in gioco gli equivoci e il palcoscenico si scalda.
«La terminologia che mi piace usare è resilienza, che poi è la capacità di un individuo di affrontare e di superare un evento traumatico. Noi remiamo controcorrente rispetto a una quotidianità in cui la rottura è spesso irrimediabile, comunicata con un sms o, ancor peggio, utilizzando la tecnica del ghosting. Questi due, invece, lottano per salvarsi. Il messaggio è chiaro, un lampo nel buio. I personaggi che animano la vicenda hanno il fuoco dentro».
Di lei si ricorda al Giovanni Udine un intrigante “Malato immaginario”.
«Mi fa piacere la citazione perché c’è dell’affetto sincero per quella performance. Dal classico seicentesco volevamo affrontare un qualcosa di più moderno rimanendo sempre a dialogare con la tradizione. Ci venne proposta “L’anatra all’arancia” e ogni qualvolta mi capita d’incrociare l’opera non posso fare a meno di rievocare la messinscena di Alberto Lionello, per me un gigante, con Valeria Valeri. Mi sono riletto il testo, ma non ho rivisto il film. Lo sguardo cinematografico è adatto, ovviamente, al grande schermo».
La sua edizione, che ricordiamo è diretta da Claudio Greg Gregori, ha subìto interventi di micro chirurgia?
«Credo che alcuni innesti si rendano necessari per pareggiare i conti col presente. Il rispetto per il manoscritto è massimo, per carità, però è inevitabile interferire su certi meccanismi che la modernità ha trasformato».
L’ironia è un’arma potente: ha la capacità di sollevare lo spirito. Compito arduo oggi.
«Alcune mattine mi alzo e sbatto sui social e sul tg e lo scoramento è immediato. La risata ci porta lontano dalle macerie, è terapeutica, necessaria per sopportare le angherie della vita. È fondamentale uno sguardo disincantato sulle cose».
La gente ha capito la forza del teatro. Statistiche lo indicano in netta ascesa dopo il momentaneo black out della pandemia.
«Il palcoscenico è tutto meno che fake. Chi siede in platea assapora il respiro degli attori, la loro fatica, il messaggio in arrivo, il pensiero. Uno esce arricchito, sempre. Non c’è trucco e non c’è inganno».
Lei l’anatra all’arancia l’ha mai mangiata?
«Ho un palato molto poco raffinato. So che la preparazione è lunga. È una ricetta piuttosto complessa. La scelta non è affatto casuale: una lotta d’amore ha i suoi tempi se i due hanno tutta l’intenzione di risolverla, questa battaglia». —
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