Emanuele Trevi: «La scrittura? È una questione di tempo e memoria. Io aspetto che i ricordi mi chiamino»

Il premio Strega 2021 presenta a Trieste Mia nonna e il Conte: un viaggio tra affetti e ricordi, dove la memoria diventa romanzo. «La cosa più difficile non è scrivere, ma capire quando è il momento giusto per farlo».

Chiara Dalmasso

La narrativa è (anche) una questione di tempismo. Un incessante carpe diem di quei ricordi che in potenza sono già romanzi. Emanuele Trevi, premio Strega 2021 con Due vite, ne è convinto: «La cosa più difficile non è scrivere, ma capire quando è il momento giusto per farlo». Presenterà la sua fatica più recente, Mia nonna e il Conte, oggi a Trieste, alle 18, nell’ambito della settima edizione di “Barcolana – un mare di racconti”, al Magazzino delle idee in corso Cavour 2.

Se nel penultimo romanzo, La casa del mago (Ponte alle Grazie, 2023), il protagonista è suo padre, al centro dell’ultimo c’è sua nonna. Coincidenza o consapevole volontà di riannodare i fili del passato?

«Considerando che sono privo di capacità inventiva, aspetto che la memoria mi faccia riaffiorare i ricordi e poi scrivo. La casa del mago è nato a 10 anni dalla morte di mio padre, mentre Mia nonna e il Conte ha avuto origine da ricordi antichissimi, di quando avevo 20 anni e trascorrevo le estati nel piccolo paese della Calabria tirrenica in cui viveva la nonna Giuseppina, detta Peppinella. Ho sempre scritto prevalentemente ritratti, e da quando ho superato i 60 anni il tema delle relazioni che rallentano il tempo, come quella tra la nonna e il Conte, è diventato più urgente».

Chi era Peppinella?

«Mia nonna è stata la persona che più di tutte per me ha rappresentato l’essere amati. La sua figura nella mia memoria si trova ancora nel giardino della casa calabrese, in provincia di Cosenza. Quando è morta – avevo 35 anni – quel posto ha perso completamente di senso. Era lei il collante del luogo, il significato, e nel rapporto puro con il Conte – un’affettuosa amicizia totalmente gratuita, senza ulteriori aspettative da parte di entrambi – aveva trovato il suo arricchimento».

Qual è il ricordo più bello che conserva delle estati trascorse in Calabria?

«Non è tanto un ricordo, quanto una sensazione. All’epoca, ero “il giovane che non ha ancora intaccato il capitale”. Tutto intorno a me profumava di futuro. Studente universitario e poi dottorando, dedicavo le mie giornate alla lettura e mi inebriavo all’idea che sarebbero successe cose interessanti, che avevo tanta bellezza davanti. Me lo sussurrava il giardino, con cui conducevo un dialogo immaginario, proprio come con il mare. Una dimensione che ho riscoperto soltanto in Grecia, l’unico luogo dove ancora ci si può godere la spiaggia in tranquillità. È là che vado a cercare il Tirreno della mia infanzia, e ogni estate trovo una nonna invisibile ad aspettarmi».

Veniamo ora al secondo personaggio della storia: il Conte, che descrive come l’esatto opposto della nonna. Chi era?

«Lui era un vero gentiluomo d’altri tempi, e lo dimostrano i piccoli gesti che dedicava sempre alla nonna. Di recente mia sorella ha ritrovato in un cassetto della casa calabrese un bigliettino, scritto da lui, con la dicitura “alla mia regina”. Forse accompagnava un mazzo di fiori. Il Conte era un erudito, appassionato di quel tipo di sapere inutile ma affascinante: era esperto delle vicende familiari e politiche della casata dei Borboni e tanti aneddoti che mi raccontò li ricordo ancora».

Che cosa ha portato queste due anime a incontrarsi?

«Erano molto diversi, due vecchie barche che però si sono scambiate merce preziosa. Mia nonna ha capito che il Conte, nonostante i molteplici titoli e cognomi, non era uno smidollato. Dal canto suo, anche lui, grazie a Peppinella, si è aperto alle cose della vita, pure alle banalità, come ai pettegolezzi. Capii che era davvero diventato “uno di famiglia” quando iniziai a trovarli, seduti in salotto, a guardare Beautiful insieme. Il loro legame ha permesso a entrambi di rallentare il tempo e di navigare insieme in un’ansa tranquilla».

A proposito del primo incontro tra sua nonna e il Conte, scrive: “Ho paura di romanzare oltre il lecito. Romanzare è sempre sgradevole”. Mi spiega questa affermazione?

«Vediamola come una provocazione nei confronti di tanti colleghi che scrivono autofiction (e non solo): il prodotto narrativo o poetico mi interessano poco. L’importante non è che sia fatto bene, ma che sia riconoscibile e personale. Di un libro, mi interessa che possa averlo scritto solo chi l’ha scritto, indipendentemente dal genere. Pensi a Harry Potter: chi altro potrebe averlo scritto se non J.K.Rowling? L’arte è la macchia che lasciamo sul mondo: un racconto deve essere prima di tutto efficace, deve avere un collante emotivo non dichiarato che corrisponde all’impronta che ognuno di noi dà alle cose. Questo per dire che tecnica e cura artigianale sono sì importanti, ma vanno governate, per non sprofondare nell’impersonalità. Per me la base di tutto è il giornalismo, è lì che faccio il mio stile».

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