Ecco perché anche in Italia arriverà l’Islam radicale

Il sociologo Renzo Guolo analizza i fattori politici e sociali che muteranno lo scenario L’ondata migratoria, le reazioni xenofobe e il valore simbolico di “Occidente crociato”

Negli ultimi anni un centinaio di cittadini italiani o residenti nel nostro Paese ha combattuto in Siria e Iraq, nelle fila dell’Isis o di gruppi legati ad Al Qaeda. Ma molti sono anche i detenuti a rischio radicalizzazione nelle carceri e gli espulsi dal territorio nazionale perché sospettati di contiguità con ambienti jihadisti. Chi sono i militanti del jihad d’Italia? Cosa spinge uomini e donne con profili sociali e biografie molto diverse a una simile scelta? È nelle librerie “Jihadisti d’Italia. La radicalizzazione islamista nel nostro Paese” (160 pagine, 17,50 euro, Guerini e Associati) del sociologo dell’Islam Renzo Guolo, docente a Padova. Nel libro ripercorre la genesi della presenza radicale .

Pubblichiamo qui uno stralcio del nono capitolo: “Il ritardo italiano”.

di RENZO GUOLO

L’Italia ha un relativo, ritardo, calcolabile sui 3/5 anni, sulle dinamiche di radicalizzazione registrate comparativamente, e quantitativamente, in maniera più massiccia, in altri paesi europei. Un quadro che, però, potrebbe mutare con il tempo: più ne passa, più quel margine si restringe. Sia pure a livello embrionale, infatti, l’Italia sta già vivendo fenomeni, nelle forme e nella tipologia di soggetti coinvolti, sperimentati in altri contesti continentali.

Innanzitutto perché le tensioni politiche e sociali legate all’immigrazione sono destinate a crescere, generando potenzialmente controspinte identitarie che possono favorire l’estremismo politico e religioso e la crescita dei crimini d’odio. La diffusa presenza, nel panorama politico nazionale, di forze palesemente xenofobe e islamofobe, certo, non aiuta.

Le tensioni che producono esclusione sociale sono destinate a alimentare le reazioni antagoniste, che possono imboccare anche la strada della radicalizzazione islamista. Tanto più dopo che l’Isis, perso il controllo del territorio siro-iracheno, cercherà di sfruttare e alimentare delle fratture etno-confessionali anche in Europa. Nel tentativo di generare separatezza politico-religiosa e prefigurare, se ve saranno le condizioni, un nuovo esodo islamista verso un, futuribile, territorio dello Stato islamico; oppure un concomitante scenario di terrorismo diffuso, anche a bassa intensità.

Anche i fattori di politica internazionale, che vedono l’Italia sempre più coinvolta in scacchieri divenuti campi di battaglia contro le forze jihadiste, dal Medioriente all’Africa subsahariana, dal Maghreb all’Asia Centrale, sono destinati a incidere in maniera rilevante. Il maggiore protagonismo italiano in politica estera e militare, in particolare in teatri di conflitto nel mondo islamico, può alimentare l’idea, cara al radicalismo, che il nostro paese, oltre che sede simbolica dell’“Occidente crociato”, sia un attivo partner di contrasto all’“autentico Islam” e che, per questo, debba essere colpito. Naturalmente, molto dipenderà da quanto accade nel mondo islamico, in particolare in Medioriente, Africa, Asia.

L’Islam radicale è un fenomeno globale e quanto avviene, in regioni simbolicamente rilevanti nella storia dei popoli musulmani e nei paesi dai quali provengono molti immigrati, ha diretta influenza nel determinare l’atteggiamento dei membri delle comunità islamiche che vivono dei paesi occidentali.

Il possibile ritorno di una quota di combattenti stranieri da Siria e Iraq, capaci di usare armi ed esplosivi, è un altro fattore da tenere in considerazione, anche se il loro numero, sin qui limitato - su 129 foreign fighters italiani, 42 sono caduti in combattimento, 23 sono tornati in Europa, ma solo 11 sono rientrati in Italia - riduce, anche se non cancella, il rischio. Anche se non vanno certo trascurate possibili infiltrazioni di returnees insediati in aree geografiche limitrofe.

Nei prossimi anni, poi, centinaia di migliaia di giovani musulmani, nati e cresciuti nel Paese a prescindere dal loro status di cittadinanza, entreranno nell’adolescenza e post-adolescenza, periodi della vita potenzialmente critici dal punto di vista della radicalizzazione.

Se da una parte è difficile prevedere gli sviluppi delle future dinamiche generazionali, largamente influenzate da fattori legati al proprio tempo, è ipotizzabile che solo attive politiche di integrazione, capaci di attenuare i richiami delle sirene islamiste radicali nei confronti di quanti si sentono per vari motivi esclusi o ostili, possano rafforzare efficacemente i meccanismi d’integrazione e aumentare, così,la sicurezza collettiva. Anche se, quando i numeri divengono esponenziali, lo stesso controllo di prevenzione operato da forze di polizia e intelligence, diventa problematico: come testimonia il caso francese (...)

A causa di questi e altri fattori, il “ritardo” italiano non è, dunque, garantito a lungo. Con tutte le conseguenze del caso. Prevenzione culturale, oltre che prevenzione di sicurezza; processi d’integrazione, oltre che battaglia contro l’influenza radicale, in Rete e nelle comunità islamiche, sono indispensabili perché quel “ritardo”, per una volta benefico, non venga presto, e drammaticamente, colmato.



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