L’eccidio di Porzûs: «Prove tecniche di Gladio nel confine orientale»
É la tesi al centro del volume di Alessandra Kersevan: il lavoro sarà presentato mercoledì 15 ottobre al Teatro San Giorgio

È nelle librerie il volume “Porzûs 1945. Prove di Gladio sul confine orientale – L’ultima inchiesta” di Alessandra Kersevan (Kappa Vu) Il libro sarà presentato oggi, mercoledì 15 alle 18 al Teatro San Giorgio di Udine, con l’autrice in dialogo con Enrico Petris e venerdì 17 alle 18 all’Auditorium comunale “Casa della cultura” di Ronchi dei Legionari, introduce e modera Marco Puppini.
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È sempre più forte la tendenza a ricostruire i grandi fatti del passato come processi da portare davanti al Tribunale della storia. È un “paradigma vittimario” in base al quale i protagonisti o sono vittime, o sono carnefici, e il compito dello storico, abbandonata la necessaria distanza richiesta, è quello di entrare in aula, come accusatore o avvocato della difesa.
Non sfugge a questa tendenza, anzi la dichiara fin dal titolo, Alessandra Kersevan, di cui è finalmente in libreria “Porzûs 1945. Prove di Gladio sul confine orientale. L’ultima inchiesta” (KappaVu, 40 euro). Il libro è frutto di quarant’anni di ricerche sul più grave fatto di sangue interno alla resistenza: l’uccisione nel febbraio 1945 nelle Prealpi Giulie, alle spalle di Udine, di un’intera unità della Brigata Osoppo da parte dei Gap comunisti.
Il monumentale lavoro (1093 pagine) si basa sulla revisione di un’enorme mole di fonti, dagli atti delle inchieste e dei processi tenutosi nel dopoguerra alla documentazione archivistica, dalle testimonianze dei protagonisti al fiume di libri che continua ancora oggi inarrestabile a scorrere. L’intendimento dell’operazione è esplicitato fin da subito: dimostrare che le 42 condanne inflitte nei processi a tutti principali protagonisti della vicenda, alcuni dei quali ripararono all’estero senza mai più tornare in Italia, avevano un intento persecutorio, motivato da ragioni politiche.
Per fare ciò Kersevan affronta direttamente tutti i nodi della vicenda, dal ruolo di Elda Turchetti (“agente dei servizi segreti tedeschi”), la donna aggregata all’Osoppo e subito uccisa, alla questione dei confini con la Slovenia, al discusso passaggio della Natisone sotto il comando jugoslavo, al ruolo delle missioni alleate. Fino naturalmente all’eccidio delle malghe di Porzûs, a cui curiosamente non è intestato nemmeno uno dei 39 capitoli.
La parte più corposa e originale del libro è spesa per sostenere come, sotto l’egida di monsignor Nogara vescovo di Udine, si stabilirono rapporti organici tra «Osoppo, repubblichini, Decima Mas e ambienti nazisti». Si diede forma a un «piano reazionario trasversale» che, con l’intervento degli americani, avrebbe quindi dato vita all’associazione segreta Gladio, di cui diversi membri sono stati coinvolti nella strategia della tensione che ha martoriato di stragi l’Italia del secondo Novecento.
Di questa alleanza e di questa strategia il «depistaggio» compiuto dall’Osoppo dopo Porzûs e nei suoi processi avrebbe costituito l’evento fondatore.
La ricostruzione di questo piano politico-militare fa inevitabilmente passare in secondo piano l’uccisione dei 18 partigiani osovani da parte del comandante dei Gap Mario Toffanin e dai suoi. La spedizione alle malghe e l’eccidio sarebbero stati una risposta «irriflessiva», una «tragicità non prevista» generata dal tradimento dell’Osoppo con i nazifascisti e contornata da particolari “misteriosi”, fatti strani (come la ritarda sostituzione del comandante Francesco De Gregori alle malghe), l’aggirarsi di personaggi non meglio identificati e identificabili nei giorni precedenti alla strage e in quelli seguenti, durante l’eliminazione degli osovani rimanenti nella zona di Bosco Romagno.
Allusioni a un complotto i cui tratti non vengono chiaramente formulati (o che ci siamo persi nelle 1093 pagine), per cui la strage sarebbe stata addirittura in qualche modo pilotata dalla missione inglese, e i comandi dell’Osoppo, che ne sarebbero stati a conoscenza in anticipo, non fecero nulla per impedirla.
In sintesi, Kersevan ripropone, aggiungendovi il contorno del «piano gladiatorio», la tesi del “colpo di testa” di Toffanin, sulla quale si asserragliò il PCI nei processi degli anni Cinquanta, con un’arringa di difesa che il capo dei Gap e i suoi uomini, che uccisero i 18 osovani, non ebbero.
Con buona pace dei dirigenti comunisti che avevano vissuto quei fatti, come Mario Lizzero e Vanni Padoan, e anche del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che dopo il 1990 ammisero invece le colpe loro e del Partito comunista.
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