Divisioni ideologiche e controllo del confine: ecco come si giunse alla tragedia di Porzûs

UDINE. Sono passati settantacinque anni dall’eccidio di Porzûs, l’uccisione di diciassette partigiani della brigata Osoppo da parte dei partigiani comunisti nel febbraio 1945. Quel nodo intricato e doloroso di vicende non smette però di agitare le nostre coscienze: ripercorreremo come si giunse a quei fatti tragici, come si svolsero, quali strascichi e conseguenze ebbero.
Nell’autunno 1944 si chiuse la breve estate delle zone libere partigiane che avevano creato spazi franchi nei territori della Repubblica fantoccio di Mussolini e in quelli controllati direttamente dai tedeschi, come il Friuli e la Venezia Giulia. Tra settembre e ottobre 1944 le colonne motorizzate tedesche posero fine all’esperienza della Repubblica della Carnia e dell’Alto Friuli e alla Zona libera del Friuli orientale.
Quest’ultima era sorta nel corso dell’estate grazie all’azione del Comando Divisionale Garibaldi-Osoppo, coordinamento operativo tra la Divisione Garibaldi “Natisone”, di prevalente matrice comunista, e quella azionista, liberale e cattolica dell’Osoppo.
Al comando unificato faceva capo operativamente anche un battaglione sloveno, il quarto battaglione della XVII Brigata Simon Gregorčič. La zona franca aveva compreso sei comuni tra Cividale a Tarcento, sui quali si abbatté però alla fine di settembre la controffensiva nemica: ingenti furono le perdite tra i partigiani osovani e garibaldini, vari paesi furono bruciati e molti civili inermi massacrati. Migliaia di cosacchi furono insediati in loco per controllare la popolazione locale.
Il fragile accordo tra comandi garibaldini e osovani si ruppe subito dopo la chiusura della zona libera. Vari elementi erano intervenuti ad accentuare le distanze tra le due formazioni partigiane.
Nell’Osoppo aveva acquisito supremazia la componente patriottica e cattolica, che tendeva a contenere le azioni militari per non esporre la popolazione alle rappresaglie, mentre i garibaldini insistevano per l’insurrezione militare e la sconfitta interna del nemico.
Da parte comunista, i rapporti sempre più stretti tra i partiti comunisti italiano e jugoslavo lasciavano intuire un’acquiescenza verso le aspirazioni ben chiare di parte titina ad espandere il territorio del futuro stato jugoslavo a tutte le aree slavofone italiane, da Trieste fino all’Isonzo, al Cividalese, alla dorsale delle Prealpi Giulie fino a Gemona.
Questa richiesta era stata avanzata già nell’autunno 1943, ma qualche mese dopo comunisti italiani e jugoslavi avevano concordato di posticiparla a dopo la fine della guerra: bisognava vincere, poi si sarebbe pensato alle frontiere.
Con la controffensiva nazi-fascista dell’autunno 1944 – a novembre cadde anche la zona libera di Caporetto – ripartirono però le istanze annessionistiche jugoslave, con un’indicazione esplicita a stringere il controllo sul fronte interno.
«Bisogna fare un repulisti di tutti gli elementi imperialisti e fascisti», scriveva Edvard Kardelj, uno dei più stretti collaboratori di Tito: «Non possiamo lasciare su questi territori nemmeno un’unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici».
Gli faceva eco dal Comitato Centrale del PCd’I Vincenzo Bianco in una lettera alle federazioni del Friuli Venezia Giulia «Bisogna fare un repulisti di tutti gli imperialisti e fascisti, che si possano nascondere nelle unità partigiane italiane». Questa lettera, ha scritto lo storico Alberto Buvoli, contiene «indirettamente e inconsapevolmente la condanna a morte del piccolo gruppo osovano di Porzûs».
Per accordi intervenuti ai massimi livelli, nell’ottobre 1944 le divisioni Garibaldi di confine attraversarono l’Isonzo e passarono sotto il comando operativo del IX Corpus, mentre l’Osoppo rifiutava di accettare il comando jugoslavo. I comandanti sloveni chiesero allora ai garibaldini di sgombrare il territorio dall’Osoppo: non appena ce ne saranno le condizioni, rispose il commissario politico della Garibaldi “Natisone” Fiovanni Padovan “Vanni” in dicembre, «potremo liquidare questa perniciosa questione».
Nelle settimane che seguirono, in realtà, la Natisone prese tempo, frenata probabilmente dalla prospettiva di toccare una formazione con la quale fino a poco prima aveva combattuto fianco a fianco.
Più incline a sentimenti anti-osovani si sarebbero invece dimostrati i Gap, i partigiani comunisti che facevano riferimento al partito comunista clandestino, e la federazione comunista di Udine che, come si vedrà, avranno un ruolo attivo nella faccenda.
A creare un clima favorevole ad un’azione contro l’Osoppo concorse il moltiplicarsi di voci di contatti tra questa e i tedeschi, amplificate ad arte per rompere il fronte resistenziale, e che riferivano di trattamenti diversificati riservati agli osovani, trattati come “combattenti regolari”, e ai garibaldini, torturati e uccisi come banditi.
Contatti, questi comprovati, anche tra i comandi dei fazzoletti verdi e la Brigata Xma Mas, un corpo indipendente della Rsi che però combatteva e rastrellava partigiani assieme ai tedeschi, e che avrebbero avuto come obiettivo un fronte comune contro le aspirazioni annessionistiche jugoslave. Contatti, però, che non si concretizzarono.
I presupposti dell’eccidio di Porzûs risiedono insomma nel prevalere tra i garibaldini degli elementi più settari e nel rifiuto dell’Osoppo di dipendere operativamente dai comandi jugoslavi.
Era una frattura ideologica e politica che aveva anche motivazioni e incompatibilità personali tra comandanti comunisti e osovani, accuse reciproche di accaparramento di armi e rifornimenti, e risentimenti di classe tra gli operai garibaldini e i piccolo– o medio-borghesi dell’Osoppo, «figli di papà, delicati attendisti che se la passano comodamente in montagna», secondo un scritto rivelatore.
Ma la motivazione diretta dell’eccidio, in conclusione, è da ricondurre alla strategia di ottenere, con ogni mezzo, il controllo di un’area di confine. —
(1 - continua)
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