Dignano e l’archeologia industriale: il viaggio nel paese delle filande

L’attività risale al 1857 ma lo stabilimento Banfi fu ricostruito quasi un secolo fa. Una struttura innovativa per l’epoca: inutilizzata dal 1998, attende il restauro

Chi attraversa l’ampio alveo del Tagliamento sul ponte tra Spilimbergo e Dignano avvista subito da lontano sia lo svettante campanile della settecentesca parrocchiale di san Sebastiano martire che l’alta ciminiera (per la cronaca rosa spesso nido di cicogne) della filanda, la cui mole a tre piani e volumi compattati si rivela in tutta la sua imponenza come un vero landmark di questo territorio.

«La filanda è il simbolo della storia di un intera comunità, parla di tante giovani donne che col loro duro lavoro hanno sostenuto intere famiglia altrimenti costrette ad emigrare» sottolinea l’assessore alla cultura del comune che nella cartellonistica stradale si auto definisce «il paese delle filande», Donatella Bertolissio, inaugurando recentemente nel rinnovato centro civico di Dignano le giornate del patrimonio industriale.

L’intento è di riproporre all’attenzione l’importanza e i progetti di recupero dell’archeologia industriale sotto forma di beni architettonici, macchinari, prodotti, manufatti, come ha fatto un convegno coordinato da Angela Zolli puntualizzando lo stato della ricerca storica e antropologica sul fenomeno dell’industrializzazione in Friuli e in particolare sulle filande di Dignano e Carpacco.

Come noto il Codice dei Beni culturali assegna a tale patrimonio, oggetto di un’attenzione crescente a livello internazionale, il valore di bene culturale, in quanto racconta il territorio, la storia sociale ed economica, tecnica e imprenditoriale che è alla base dunque dei nostri stessi distretti industriali.

Quanto alla nostra regione, tale interesse si è concretizzato entro il 2017 nel recupero a fini turistici e culturali di impianti come il Cid di Torviscosa o la centrale idroelettrica di Malnisio, e nella creazione dei poli museali del Porto vecchio di Trieste e della Cantieristica di Monfalcone, anche se sarebbe necessaria una mappatura esauriente del patrimonio industriale sull’intero territorio.

Strumento sostanziale di applicazione per interventi di investimento finalizzati al recupero, conservazione, valorizzazione o riuso per finalità culturali o sociale di tale patrimonio, sono le Norme regionali in materia di beni culturali (Legge regionale 23/2015), il cui articolo 15 permette a enti o associazione di contribuire fino alla misura del 75 per cento delle spese in tali operazioni, ma in assenza di regolamento attuativo tale strumento di fatto è fermo.

Tornando alla filanda di Dignano, la cui attività venne avviata nel 1857, quando l’industria serico-cotoniera stava prendendo piede in Friuli, venne ricostruita dagli imprenditori Banfi nel 1921 nelle forme attuali e divenne la più importante in Friuli, restando attiva fino al 1960, quando il tessile subì una rapida contrazione.

Dal punto di vista architettonico, come ha sottolineato nel convegno Giovanni Sammartano, si segnala per l’innovativa copertura a shed, di tipo “belga”, che permetteva all’interno un’ ampia illuminazione e areazione, sorretta da pilastrini in acciaio, mentre le murature sono in cemento armato.

Si tratta dunque di una struttura ardita e innovativa per l’epoca, non più riutilizzata dal 1998, e che ora esige una nuova destinazione d’uso, facilitata del resto dalla sua tipologia funzionale, caratterizzata da ampi spazi liberi e modulari.

Prossima a compiere i cento anni, i dignanesi si sono da tempo attivati per il riutilizzo della loro filanda, e mentre un progetto già avanzato destinerà un edificio attiguo alla fabbrica a casa di accoglienza per bambini in condizione di disabilità nel contesto di un intervento di recupero con finalità sociali, si stanno profilando altri possibili destinazioni che interessano anche il settore agro-alimentare come ben prospettato dall’articolato programma dell’amministrazione di Dignano al Tagliamento. —


 

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