Da Diabolik al cinema noir, i disegni di Barison sbarcano sul grande schermo
Il fumettista pordenonese ha disegnato un fim francese in concorso a Berlino. «Ho realizzato una sessantina di disegni ai quali i due registi si sono ispirati»

Sfogliando l’album per la stampa di “Reflection in a Dead Diamond”, uno dei film in concorso alla Berlinale 2025 con l’evidente patina vintage dei polizieschi dei Sessanta — e nelle sale da luglio — t’imbatti nel capitolo riguardante Emanuele Barison, celebre fumettista pordenonese, anche qui — ovviamente — con la matita operativa: “comic book illustrator” è il ruolo del creativo friulano nella pellicola di Hélène Cattet e di Bruno Forzani, coppia di registi made in France: lei di Parigi e lui di Mentone.
«Ci incontrammo alcuni anni fa in un grill dell’autostrada vicino al casello di Verona. Luogo bizzarro, penserete voi. In effetti è vero. Bruno ed Hélène stavano convincendo Fabio Testi ad accettare la parte di protagonista del loro lungometraggio — e ci riuscirono — perché l’attore abita proprio da quelle parti. Così pigliarono i cosiddetti due piccioni. Fu Françoise Corteggiani, amico di lunga navigazione e che mi chiamò in Disney — purtroppo ci lasciò nel 2023 — a fare da ponte fra me e loro. Ascoltai Forzani, mi raccontò di questa operazione facendomi avere il copione dopo alcuni giorni. Be’, pensai, è una specie di Diabolik, ‘sta cosa qui, ecco perché mi vogliono».
Barison, precisazione doverosa, è il disegnatore proprio di Diabolik, ma pure di Topolino, di Tex e di Zagor, per dare l’idea di una produzione, la sua, assai frequentata di personaggi importanti. Emanuele, inoltre, è vice-presidente del “Palazzo del Fumetto” di Pordenone, che ha accolto pure il ministro della cultura Alessandro Giuli.
Ci spiega cosa succede in quest’opera applaudita da molti critici internazionali?
«In un grand hotel sulla Costa Azzurra un ex agente speciale, tale John D., ormai in su con gli anni, resta folgorato da una giovane donna che gli ricorda i bei tempi dell’azione. I flashback colmano i vuoti di memoria tant’è che a lui pare siano davvero tornati i vecchi nemici da combattere. E il cinema incontra il fumetto, che è parte integrante del film. Come pure il linguaggio, molto somigliante a quello degli albi con le storie dei vari eroi. Incontriamo pure in Serpentik, che con Diabolik ha un certo feeling. Insomma, il taglio è chiaro e anche la mia presenza è evidente, con lo scopo preciso di stimolare l’atmosfera tipica di una cinematografia della metà del Novecento. La produzione ha puntato al mercato internazionale ed è per questo che in Italia il titolo ha fatto una fugace apparizione».
Facciamo la conta delle sue tavole nel film?
«Diciamo una sessantina di disegni ai quali i due registi si sono ispirati, mettendomi nelle migliori condizioni possibili. Anche per quanto riguarda la locandina non c’è stata una mano sola — avevo indicato un grande disegnatore, però è finita diversamente — ma ispirazioni e suggestioni diverse sono confluite sul cartellone, ugualmente attraenti. Posso dire? La storia rilascia la potenza filmica che mi ero augurato di sentire negli anni di studio».
Le andrebbero quattro passi nel passato? E lei sa a cosa mi riferisco, ovvero all’uomo vestito di nero che guida una Jaguar E Type.
«Be’, direi ancor prima cominciò il mio rapporto con il “tratto”, diciamo alla fine degli Ottanta. Quindi arrivò il momento della Mondadori con Topolino a cui seguono una decina d’anni di lavoro in Francia. Finché ricevetti l’invito di Luciana Giussani, editrice assieme alla sorella Angela del primo fumetto nero in Italia formato tascabile, per una chiacchierata a proposito di Yakuza, edito da Soleil, che le piacque parecchio. L’idea di Luciana e di Angela si riferiva a una spolverata a Diabolik, siamo alla fine dei Novanta, e mi chiesero se la proposta mi intrigasse. Sulle prime avrei risposto che stavo bene dove stavo, ovvero in Francia, come le dicevo, poi però decisi per un sì e rimasi a disegnare l’uomo mascherato fino al 2019».
Qualche sceneggiatura l’ha scritta?
«No, soltanto la figurazione. A volte mi permettevo dei suggerimenti e lì mi fermavo. A ognuno il suo».
E adesso, Barison?
«Mi fanno compagnia il mio editore Bonelli, Tex e Zagor, quest’ultimo è una passione da sempre. Mi creda, sono due tipi impegnativi nonostante i ritmi siano tutt’altro che frenetici rispetto a una volta».
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