Di Sopra: la mia verità sulla strage di Chialina e la ritirata dei cosacchi

di Luciano Santin
OVARO
Il primo e il 2 maggio 1945 la località di Chialina fu segnata da uno degli strascichi piú sanguinosi della guerra in Friuli, che causò la morte di numerosi civili e cosacchi. Nella ricorrenza dei 70 anni il comune di Ovaro ricorderà il tragico evento, con la consegna a tutte le famiglie di una copia della motivazione della medaglia al merito concessa dal presidente della Repubblica. Nel contesto della cerimonia, che si terrrà sabato 18 alle 17.30 nella sala-museo di Applis, Paolo Medeossi presenterà il libro "Le due giornate di Ovaro - Carnia, 1 - 2 maggio 1945", di Luciano Di Sopra e Rodolfo Cozzi (terza edizione integrata e ampliata a 350 pagine dalle 150 originarie).
Una ricostruzione che vuole fare giustizia, come recita l'invito, delle «varie versioni fatte di reticenze, di omissioni, in taluni casi di ricostruzioni non vere dei fatti, e di scarico delle responsabilità, compresa quella di imputare ogni colpa ai comandi cosacchi».
Architetto Di Sopra, perché quest’opera?
Per sciogliere un debito d’infanzia. Avevo nove anni, allora, la mia famiglia abitava a settanta metri dalla caserma cosacca fatta saltare con i suoi occupanti, compresi donne e bambini, con 50 chili di tritolo: fuggimmo, sfiorati da una sventagliata di mitra. All'epoca non razionalizzai; molti anni dopo volli chiarire al bambino di allora i motivi di quella situazione.
Le fonti?
Tra il 2001 e il 2002 col giornalista Rodolfo Cozzi abbiamo filmato le testimonianze di molti protagonisti. Oggi rimangono in pochi: solo Rinaldo Fabbro, il partigiano Otto, novantaduenne, che vive in Australia e Romano Marchetti, Cino da Monte, che ha passato il secolo.
Lei dice che la narrazione del libro fa giustizia di versioni parziali, o reticenti...
Dopo l’eccidio, si è preferito non ricostruire la verità di un'azione militare folle,si sono intorbidite le acque e si è addossata ogni colpa ai cosacchi, traditori di una presunta promessa di resa.
Come andò veramente, allora, quella "follia"?
La guerra era finita. I cosacchi, che stavano ritirandosi in Carinzia, avevano scelto la val Degano, e dovevano attraversarla in decine di migliaia. A Ovaro, inoltre, di erano tre presídi cosacchi di altri 250 uomini.
Gli improvvisati liberatori decisero di bloccare l'esodo e di disarmare tutti i cosacchi attraverso l'attacco di una forza complessiva di 27 partigiani. Meno di uno ogni mille.
Chi lo decise?
La situazione era confusa: i poteri del Cln erano del tutto incerti e soggetti a forti interferenze. L'attacco avvenne con i comandanti partigiani locali che, ad azione avviata, avevano lasciato il campo.
Alcuni personaggi, anche maggiorenti locali, comparsi dal nulla, che non avevano partecipato alla Resistenza, volevano guadagnare meriti attraverso un'azione eccezionale per saltare sul carro dei vincitori. Purtroppo tutto finí in tragedia, con la morte di oltre cento persone: venti civili, sei partigiani e 88 cosacchi. Un'enormità, se riferita a un comune di duemila anime articolato in dodici insediamenti.
Dopo tale esito gli "infiltrati", ovviamente, sparirono.
Ci saranno polemiche?
No. Perchè non vi è alcuna volontà di cercare eroi o colpevoli, solo di ricostruire la verità dei fatti. Emerge anche il merito della gente di Chialina, che prestò soccorso e conforto ai nemici, i cosacchi feriti estratti dalle macerie. Cosa riconosciuta dallo stesso comandante cosacco, che cambiò l'originaria decisione di bruciare il paese dove era stata minata una caserma con insediati 120 cosacchi, restituendo umanità con umanità. Un analogo riconoscimento è venuto anche dalla motivazione della medaglia d'argento al merito civile concessa dal Quirinale alla frazione di Chialina.
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