Davide Ferrario e il Friuli: «Volevo girare un film sulla base aerea di Aviano»
Il regista presenta il suo docufilm a Pordenone. «Una passeggiata nella biblioteca di Umberto Eco»

Quella passeggiata di Umberto Eco attraverso il percorso “letterario” di casa, nell’immensa abitazione di piazza Castello a Milano, evidenzia la sua monumentale raccolta di trentamila volumi contemporanei e di oltre mille rari pezzi antichi e si candida a essere una scena cult del cinema italiano.
Mi balza in testa la vespa di Nanni che scivola per Roma in “Caro Diario”, ecco: c’è un valido motivo per affiancarle quelle due riprese seducenti, sebbene assai distanti per natura.
“Umberto Eco - La biblioteca del mondo” (2022) è diventato — «Quasi per un sfida personale» — un docufilm di suggestioni firmato da un regista conosciuto per essere quello “dell’eleganza dello sguardo”, il poliedrico Davide Ferrario, autore del manifesto dei giovani precari “Tutti giù per terra” (1997) con un giovanissimo Valerio Mastandrea, di docu e di finzioni, oltre che di una notevole produzione libraria e fotografica.
In chiusura di stagione Cinemazero di Pordenone lo proporrà martedì 22, alle 21, al Giardino Francesca Trombino.
La notizia c’è eccome, Davide. Che ne dice di sventolarla subito?
«L’opera è arrivata in America e da nove settimane tiene banco a New York. Fra poco finirà nelle sale di Los Angeles. Eco è un nome talmente internazionale da incantare le platee del globo. Grazie a questa esplosione inaspettata “La biblioteca del mondo” concorrerà all’Oscar dei documentari. Davvero un miracolo che mai avrei nemmeno sognato, guardi. Con tutta l’immaginazione possibile».
L’incontro fra lei e lo studioso alessandrino avvenne in occasione della progettazione di una videoinstallazione per la Biennale arte, se non sbaglio.
«Avremmo dovuto fermarci al senso proprio della nostra collaborazione. Invece, per mia immensa fortuna, la storia si spinse inaspettatamente oltre, fino a giungere all’invito di Eco: “Le farebbe piacere visitare la mia biblioteca?” E così mi ritrovai in questo labirinto infinito con lui davanti a guidare la spedizione e io dietro, incantato. Alla fine gli chiesi: “E se lei mi rifacesse la scena, ma con un cinepresa che filma?”, mi rispose di sì».
Mi parli di lui.
«Devo chiedere aiuto alla sintesi, altrimenti non ne veniamo fuori. Ti arriva addosso tutta la grandiosità dell’uomo, ma anche la sua semplicità. Sa qual era la grande forza? Non farti mai sentire un imbecille. Era curioso e sapeva ascoltare. Trattava con la stessa intensità la cultura esclusiva e quella di massa.
Si interessò a Mike Bongiorno, con la famosa “Fenomenologia”, e a James Bond, le sue lezioni richiamavano migliaia di studenti, come accadde al suo funerale al Castello Sforzesco di Milano, Eco conquistò alti intellettuali e scarsi pensatori proprio perché riusciva a comunicare con tutti i cervelli».
Ricordiamo Umberto Eco a Pordenonelegge nel 2014, vincitore del Premio FriulAdria, La storia in un romanzo.
«Eccome no, ho tratto un frammento dall’evento pordenonese che è stato inghiottito dal docufilm. E durante il percorso filmico è evidente la sua simpatia e il suo dialogare piacevolissimo e privo assolutamente di supponenza».
Cosa le evoca la parola memoria?
«Un’infinità di sensazioni. Non c’è più, adesso, o per lo meno scarseggia. La memoria tiene insieme il mondo, la condivisione di qualcosa di comune è il tessuto che evita la dispersione della comunità. I giovani la stanno perdendo, ahimè, pare non interessi più sapere cosa accadde nel passato.
Eco, a proposito, mi ricordò il suo spaesamento durante una puntata de l’Eredità, il giochino di Raiuno. La domanda era: in quale anno s’incontrarono per l’ultima volta Hitler e Mussolini? E fra le quattro date c’era il 1944, che nessuno dei concorrenti scelse».
Lei palleggia abilmente fra lungometraggio e documentario…
«C’è sempre finzione in ogni verità e c’è sempre verità in ogni finzione».
Siamo alla fine. Ferrario e il Friuli?
«Gradevoli sensazioni sempre, ma una in particolare. Nei primi anni Novanta mi batteva in testa un progetto sulla base di Aviano dopo il crollo dell’Urss. Che senso aveva un avamposto americano in Italia a difendere cosa, poi, se il nemico non esisteva più? E rilevai, con sorpresa, che la popolazione tifava affinché gli Usa restassero al loro posto. Poi, però, quell’idea svanì».
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