Dall’imperialismo fascista alla tragedia delle foibe: i Balcani in fiamme, teatro di eventi cruenti e guerra
L’atteggiamento guerrafondaio di Mussolini condizionò la situazione sul confine orientale

L’atteggiamento guerrafondaio e imperialista di Mussolini che aveva caratterizzato fin dal’35 la sua politica estera e poi quello giustizialista, filo sovietico di Tito dal’41, condizioneranno gli eventi nel confine orientale italiano per tutta la durata del secondo conflitto mondiale, in cui i Balcani saranno una terra contesa e insanguinata.
Con l’invasione e l’acquisizione dell’Albania nel 1939, peraltro, già di fatto, protettorato italiano, veniva ribadito, con le armi, il ruolo militare dominante dell’Italia nei Balcani, agli albori di quel nuovo assetto del mediterraneo che prevedeva l’assoluto dominio del “mare nostrum” e dell’entroterra “imperiale”. La partecipazione italiana alla Seconda guerra mondiale, per quanto ritardata, per Mussolini risultava comunque imprescindibile, nonostante l’impreparazione militare italiana di cui era consapevole, per ottenere la propria agognata parte nella spartizione delle zone d’influenza d’Europa, nell’acquisizione di nuovi territori e nel controllo dell’intero Mediterraneo. Ma i continui poco felici eventi bellici, seguiti alla dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna del 10 giugno del 1940, ma soprattutto la inconfutabile disastrosa ritirata, una vera e propria “debacle” nella Campagna di Grecia, iniziata da Mussolini, in ottobre, con troppa leggerezza e tracotanza, causerà il ridimensionamento dell’Italia guerresca.
Quando, nell’aprile del’41 inizierà la guerra alla Jugoslavia con il nuovo attacco alla Grecia, ormai l’Italia fascista in armi, aveva fallito nella sua “guerra parallela” e si trovava, senza volerlo ufficialmente ammettere, ad essere gregaria della Germania nazista, solo col suo determinante tramite Mussolini era riuscito a piegare lo Stato ellenico. Anche la spartizione dei territori jugoslavi renderà sempre più esplicito il ridimensionamento militare e politico dell’Italia fascista agli occhi del mondo e proprio da parte di Hitler. Infatti della Slovenia fu attribuita all’Italia la piccola e povera provincia di Lubiana subito annessa.
Per quanto riguardava la Dalmazia ex Jugoslava al Regno d’Italia veniva assegnata soltanto una striscia di terra, che costituirà un improvvisato governatorato di Dalmazia, con le nuove tre province di Zara, Spalato e Cattaro, un frammentato territorio costiero e alcune isole. Completava il quadro l’occupazione del Montenegro che Hitler volle protettorato italiano. Sia la provincia di Lubiana, sia la Dalmazia italiana acquisita, che il Montenegro dovettero affrontare un vero e proprio terremoto politico militare con la nascita e il consolidamento di una forte opposizione interna anti italiana anche armata.
Si erano acuite ed erano esplose tutte quelle contraddizioni che si erano venute a creare nel tempo, almeno dal disfacimento dell’Impero Asburgico e dai trattati di pace dopo il primo conflitto mondiale, amplificate dal successivo anti slavismo fascista del periodo 1922 – 1940, tra le comunità italiane e quelle slovene e croate. Il contrasto ad una guerra partigiana, guidata soprattutto dai comunisti, fatta di continui sanguinosi agguati e attentati, comportò per gli italiani la consapevolezza di essere in continuo stato di guerra nei nuovi territori e la necessità di utilizzare numerose divisioni. Le autorità di occupazione italiana compirono brutali e spietate rappresaglie contro tutte le forze partigiane slovene, croate, montenegrine, con fucilazioni sommarie, deportazioni di civili e con la distruzione col ferro e col fuoco di interi villaggi.
A febbraio del’42, per portare avanti il processo di fascistizzazione e schiacciare l’opposizione, fu deciso un sistema di carcerazione di massa dei “collaborazionisti” dei partigiani e di invio nei campi di concentramento già attivati o in allestimento, sia degli abitanti di Lubiana prelevati dalle loro case, che di quelli rastrellati in tutte le altre località e territori sotto controllo italiano. All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre del’43, col dissolversi dell’esercito italiano i partigiani di Tito, ormai un vero esercito, che si erano appropriati dei territori abbandonati dagli italiani in Slovenia, Istria e Dalmazia, crearono improvvisati “tribunali del popolo” che giudicarono in brevi, veloci processi, spesso drammaticamente farseschi e dove la pena era già decisa, centinaia di italiani e li condannarono a morte spesso con esecuzione immediata. Furono eliminati squadristi, militari e rappresentanti politici e dell’amministrazione fascista, ma anche appartenenti alla comunità italiana, senza alcun incarico governativo: piccoli proprietari terrieri, commercianti, professionisti, artigiani, tutti coloro che, italiani e possidenti, sarebbero stati decisamente contrari alla creazione di uno stato socialista; si diede spazio persino a regolamenti di conto personali. Molti dei giustiziati finirono nelle foibe istriane o nelle miniere del Carso.
Al bellicismo stragista e al processo di fascistizzazione forzata di Mussolini, Tito rispondeva con l’eliminazione di coloro che avrebbero potuto osteggiare la costruzione di un suo stato socialista jugoslavo. L’occupazione nazista dei territori contesi alla fine di settembre del’43 dava inizio ad un nuovo complesso capitolo che avrebbe accentuato il numero delle vittime italiane degli “infoibate” eliminati dai titini, portato all’esodo centinaia di migliaia di istriani e dalmati italiani e avuto una prima tragica conclusione, seppure non definitiva, solo nel maggio del’45 con l’arrivo degli anglo-americani.
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