Dal Vietnam al Canada senza rancore verso le armate che la privarono di tutto
«Il sangue continuava a scorrere e le bombe a cadere in lontananza. Quando i comunisti sono entrati a Saigon, la mia famiglia ha ceduto loro metà della nostra proprietà, perché eravamo diventati vulnerabili». I ricordi della vietnamita Kim Thúy sono limpidi anche se all'epoca dei fatti era solo una bambina. Ora quelle memorie sono diventate un libro "Riva" ( Nottetempo, 156 pagine, 14 euro), che racconta l'odissea della ragazza e della sua famiglia benestante costretta all'indigenza e a scappare in Malesia per sopravvivere all'ondata repressiva del comunismo. Frammenti rubati all'oblío, "Riva " non è un romanzo, non è un'autobiografia, ma quadri di un passato che messi insieme raccontano una storia di sangue che lei dopo trent'anni, riesce a riconoscere solo per frammenti, per cicatrici, per barlumi. Nel suo secondo romanzo, “Nidi di rondini” appena pubblicato da Nottetempo (165 pagine, 14 euro) riprende il filo del racconto autobiografico e riflette «sulle differenti facce dell'esilio, sull'amore e le memorie» che affollano i suoi ricordi. Kim Thuy è nata a Saigon nel 1968, nel momento dell'offensiva del Têt scatenata dall'esercito nordvietnamita e dai vietcong. A dieci anni con la famiglia fu costretta a scappare dal Vietnam dopo la riunificazione del paese e l'entrata delle armate comuniste a Saigon. Con tanti altri profughi si ritrovò su una delle fragili navi strapiene e maleodoranti che lasciavano il Vietnam verso un sogno di libertà. Ora vive a Montreal dove ha fatto l'interprete, l'avvocato, la restauratrice, lo chef e la cronista gastronomica. Ospite graditissima a Pordenonelegge.
- Nel suo libro lei appare comprensiva verso i suoi stessi nemici. Cosa la rende così tollerante?
«Col tempo ho maturato una visione grigia, né bianca né nera del comunismo. Senza i comunisti il Vietnam adesso sarebbe un paese indipendente o no? Senza comunisti, avrei avuto la possibilità di vivere questa seconda vita? Non credo di dimenticare, ma di relativizzare».
- Furono molto duri con voi i soldati vietnamiti?
«Abbastanza. Mio padre cercò di corromperli perché fossero meno rigidi, facendo ascoltare loro della musica. Piansero perché per loro era una novità grandiosa. Il giovane ispettore, che aveva camminato nella giungla per andare a liberare il Vietnam del Sud dalle mani "pelose" degli americani, in realtà era molto tenero».
- Cos'è successo dopo la vostra fuga dal Vietnam e l'arrivo in Malesia?
«Abbiamo passato quattro mesi in un campo per rifugiati, ammucchiati in duemila in uno spazio previsto per duecento persone. C'erano pidocchi e scabbiao ci nutrivano con pesci guasti».
- È stato difficile sopravvivere?
«La fame era tanta e il mio corpo si è riprogrammato per poter sopravvivere. Quattro mesi, poi siamo arrivati in Canada che non mi ha mai fatto sentire un’immigrata».
Francesco Mannoni
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