Dagli Asburgo ai Savoia passando per Udine

Paolo Gaspari riscopre l’avventurosa vita dei von Hassek. Il matrimonio con la contessa Elisabetta Antonini Belgrado
Di Paolo Medeossi

PAOLO MEDEOSSI. “El xe partido col botton de Francesco Giuseppe sul capel, el xe tornado col carciofo de bersaglier”. Traduzione (più o meno): «È partito con la coccarda austriaca di Francesco Giuseppe, è tornato con il cappello piumato dei bersaglieri italiani». La frase venne pronunciata da una donna triestina per sintetizzare i cinque incredibili anni vissuti dal figlio fra il 1914 e il 1919, una di quelle storie personali, minime, che affiorano a un secolo dalla prima guerra mondiale. Rispuntano da epistolari, da diari, da memorie dimenticate e ritrovate più o meno casualmente. Molte sono stampate e rese pubbliche grazie all'opera di editori colti e appassionati come Paolo Gaspari di Udine che dedica a tali vicende un filone inesauribile. Uno dei capitoli più originali riguarda Pietro von Hassek di cui, a cura del figlio Bernardino e con prefazione di Marina Rossi, viene proposto il libro “Dagli Asburgo ai Savoia. Storia di un ufficiale triestino dal 97.mo Infanterie regiment alla Legione italiana di Vladivostok” (65 pagine, 15 euro). Un volumetto smilzo, ma denso di eventi e sorprese, che sarà presentato a Udine, questo venerdí 10 ottobre, alle 17.30, a palazzo Belgrado, un luogo significativo perché (ed ecco appunto una delle sorprese) è un po' all'origine di questa avventura familiare, degna di essere narrata in un romanzo o in un film dai contenuti epici. Ma andiamo per gradi per riassumere il tutto e non perderci nei meandri di ciò che la realtà, attraverso peripezie e guerre infinite, ha disegnato con inesauribile fantasia.

La famiglia Hassek ha radici prussiane e il trisavolo Giuseppe Paolo, nato nel 1763, vinta la tentazione di diventare prete o musicista, si laureò in medicina arruolandosi con Napoleone e assistendo anche all'incendio di Mosca. Dopo Waterloo tornò in Austria entrando nell'esercito austriaco e sposando a Trieste la figlia di un nobile borbonico. Uno dei loro figli, Pietro Guglielmo, venne arruolato nell'Armata d'Italia del feldmaresciallo Radeztky di cui era anche un po' parente in quanto (ed ecco qui l'aggancio udinesissimo) sposò la contessa Elisabetta Antonini Belgrado, la cui sorella Giulia si era unita in matrimonio con Giuseppe Strassoldo Graffenberg, fratello della moglie di Radeztky. Tutto chiaro? Ricostruzione certo laboriosa, ma necessaria per far capire l'intreccio fra caste e aristocrazie varie. Come si sa, gli Antonini erano i famosi nobili di origine carnica che diedero a Udine cinque palazzi, i più belli, compreso quello che è l'attuale sede della Provincia, dove esiste ancora la “stanza dello scialle” a ricordo dell'omaggio che Napoleone, qui ospite, fece alla padrona di casa Margherita Antonini, madre della contessa Elisabetta.

Narrando il contesto friulano va aggiunto che Pietro Guglielmo von Hassek ebbe tre figli, nati proprio a palazzo Antonini. Uno di essi, Lotario, pure ufficiale, si sposò a Trieste e il 23 maggio 1894 nacque Pietro Orazio, il protagonista del libro ora stampato da Gaspari. Il giovanotto ottenne il diploma liceale nell'ottobre 1914 a guerra da poco cominciata e, anche per far fronte a problemi economici, si arruolò come volontario entrando in una formazione militare molto particolare, su cui solo adesso si sta alzando il velo dopo decenni di censure e rimozioni. Si tratta nel 97.mo reggimento di fanteria, in cui Vienna aveva riunito gli italiani residenti soprattutto nel Litorale adriatico, sotto l'impero asburgico. Una vicenda su cui lo storico triestino Roberto Todero ha scritto recentemente un libro (pure pubblicato da Gaspari) e allestito uno spettacolo teatral-musicale di notevole efficacia pedagogica. Occasioni per far conoscere il sacrificio di ufficiali e soldati cui venne appiccicata l'etichetta di lavativi, pavidi, disertori. L'inno del reggimento era intitolato “Dèmoghela” che in dialetto triestino stava per “Diamogliela”, sottintendendo la fuga al nemico. I denigratori lo tradussero invece in “Diamocela... a gambe”.

Anche il ragazzo Pietro von Hassek, ufficiale di primo pelo, venne inviato con il 97.mo a combattere contro i russi in Galizia, attuale Ucraina, dove il reggimento perse subito il 75% degli effettivi, venendo catturato nel 1916. Seguì un'odissea tra campi di prigionia e marce forzate fino in Siberia mentre in Russia scoppiava la rivoluzione d'ottobre. L'eccezionalità del libro sta nei diari in cui l'ufficiale narra quei fatti da testimone diretto. Infine, assieme a centinaia di prigionieri, Pietro raggiunse Vladivostok dove un maggiore dei carabinieri, Cosma Manera, ottenne la liberazione dei reclusi ex austro-ungarici di lingua italiana formando la cosiddetta “Legione dei redenti”, fedele ai Savoia. Il ritorno a Trieste avvenne a fine 1919 quando questi strani soldati, sballottati dalla guerra, sbarcarono di nascosto protetti dai carabinieri per evitare insulti o rappresaglie. Von Hassek tornò alla vita civile da impiegato celando quel passato da “austriaco”, come dovettero fare gli altri. Riemerge adesso, dopo un secolo, come un frammento del mondo di ieri.

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