Da Pordenone a Portogruaro, un viaggio tra le opere sacre

Un volume illustra l’attività dell’artista: si tratta della Guida alle opere di Pilacorte in Friuli, a cura di Giuseppe Bergamini (di cui pubblichiamo l’introduzione), Vieri Dei Rossi, Isabella Reale (Società Filologica, in coedizione con Associazione antica pieve d’Asio).
GIovanni Antonio lavorò in una cinquantina di località, soprattutto (ma non solo) nei paesi situati lungo il corso del Tagliamento e abitò a Spilimbergo, Portogruaro, Pordenone. Numerose le opere che meritano di essere ricordate: tra queste, alcuni fonti battesimali ed acquasantiere in cui utilizzò il modello – peraltro già presente in altre parti del territorio lombardo veneto, ad esempio nel Battistero di Castiglione Olona, 1435, nella parrocchiale di Carona, in San Giovanni in Bragora a Venezia, nella cripta del duomo di Sebenico, e anche nel duomo di Spilimbergo (acquasantiera eseguita da tal “maistro Zorzi tagliapiera” nel 1466) – della coppa sostenuta da un fusto al quale si addossano putti che si tengono per mano o reggono festoni o suonano strumenti musicali.
Modello che poi divulga a tal punto che in Friuli ancora si conservano decine di manufatti di tal genere, realizzati da Giovanni di Biagio di Zuglio, Donato e Alvise Casella da Carona, Carlo da Carona, Benedetto degli Astori da Dossena, Baldassarre da Meduno, Battista q. Giovanni da Fanna o da ancora sconosciuti maestri friulani o lombardi, manufatti talvolta così simili tra di loro, che non è agevole coglierne le diversità di ideazione e di fattura.
Per quanto riguarda la decorazione, che – anche in conseguenza della pietra usata – talvolta è appena accennata e pare restare in superficie, talaltra crea più violenti effetti chiaroscurali, il lapicida si rifà a conosciuti prontuari: motivi fitozoomorfi, dentelli, fuseruole, girali eccetera, spesso intervallati con allegre teste di cherubini alati. Non sempre con la stessa abilità, come mostrano impietosi confronti tra i lavori di routine e quelli di maggior impegno.
Tra i quali vanno senz’altro annoverati la Cappella del Rosario – già del Carmine – del duomo di Spilimbergo (1498), con la balaustra spettacolare per finezza d’intaglio e per la piacevolezza dei quattro angeli candelofori che la sormontano, piccole sculture a mezzo busto che per grazia di espressione, classica compostezza, tenue chiaroscuro, grande eleganza e raffinatezza tecnica, ben si apparentano con l’arte di Pietro e Tullio Lombardo, e il portale maggiore del duomo di Pordenone (1511), che nelle facce delle basi presenta quattro rilievi relativi alla Creazione (sorprendente e insolita la raffigurazione del corpo serpentiforme di Adamo) ed è arricchito negli stipiti da una abbondante decorazione rinascimentale con i simboli dello Zodiaco, unicum iconografico di questo genere in Friuli (segni zodiacali erano peraltro già stati scolpiti a basso rilievo nel 1490 negli stipiti del portale della chiesa di San Marco a Gaio). —
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