Da Bilbao a Udine: "L’Ue non può negare che baschi e friulani valgono come nazioni"

UDINE. Credere nell’unità senza temere le diversità – linguistiche o etniche che siano –, gli idiomi minoritari come uno dei volani per la crescita del Pil europeo, il rifiuto della violenza per manifestare e difendere la propria identità e il ruolo dei social network nella diffusione delle culture storiche dell’Occidente.
Patxi Baztarrika, viceministro della Comunità Autonoma dei Paesi Baschi spagnoli, nuota in questo . mare magnun di argomenti nella tappa al Messaggero Veneto nel corso della giornata in cui – ospite dell’Agjenzie regjonal pe lenghe furlane (Arlef) – arriva in Fvg per spiegare come, dalle parti di Bilbao, siano riusciti a salvaguardare la loro lingua e a trasmetterla alle nuove generazioni a un livello di intensità difficilmente paragonabile ad altre latitudini.
La difesa e la promozione dell’Euskera, in altre parole diventa un modello per gli uomini dell’Arlef da traslare, in salsa locale, contro coloro che tacciano la marilenghe di anacronismo storico e totale inutilità nel mondo contemporaneo della (post) globalizzazione di massa.
Ministro qual è lo stato di salute delle lingue minoritarie all’interno dei confini dell’Unione europea?
Bruxelles dovrebbe capire che l’Unione non può essere soltanto un insieme di Stati perché, a esempio, esistono Nazioni che non sono Stati, ma esistono ugualmente.
L’Ue ha bisogno di cambiare paradigma riuscendo a cogliere il dovere di coniugare la stabilità normativa con la protezione delle minoranze, anche linguistiche. Al momento Bruxelles riconosce 24 lingue ufficiali, ma esistono idiomi, come il basco e il friulano, che non soltanto possiedono pari dignità rispetto allo spagnolo o all’italiano, ma vengono parlate da una quantità di persone maggiore rispetto a qualche lingua ufficiale. Ma i vertici europei non tengono nemmeno in considerazione le potenzialità economiche delle lingue minoritarie.
Scusi, ministro, ma come si fa a creare business con l’utilizzo di lingue che non vengono parlate e capite all’infuori di singoli, e limitati, territori?
«Pensiamo al basco e alle ricadute sull’economia locale. Uno studio recente ha dimostrato come il suo utilizzo incida per il 4,2 per cento sul Pil della nostra Regione Autonoma. Basti pensare alle implicazioni nel campo della comunicazione, dell’editoria e dell’amministrazione pubblica per capirlo. E il tutto crea ricchezza in un’area che, a livello di crescita media e di disoccupazione, è molto piú avanti del resto della Spagna. Purtroppo, però, in tanti continuano a far finta di non capirlo e si basano sul pregiudizio. E come diceva, a ragione, Albert Einstein «è piú facile spezzare un atomo che un pregiudizio».
Difficile, però, riuscire a far collimare questa posizione con quella di coloro che sostengono come sia meglio imparare una lingua straniera diffusa, dall’inglese allo spagnolo, piuttosto che insegnare nelle scuole il friulano...
Certamente, perché in tanti, sbagliando, credono che globalizzazione faccia rima con omologazione. È un errore enorme. La forza del mondo globale sta nella sua diversità, non nella sua reductio ad unum. Se tutti capissero che il rispetto delle diversità non è una concessione, ma un diritto naturale riusciremmo a costruire una società piú armoniosa. Io non posso immaginare il mio futuro senza l’utilizzo del castigliano, ma nemmeno senza il basco. Non stiamo discutendo di imporre nulla ad alcuno, ma soltanto di lasciare aperte delle possibilità per tutti.
Le lingue devono essere viste come un fattore di progresso, non di retroguardia. In Euskadi lo pensiamo da sempre e applicando questo concetto, nei 35 anni dopo la fine del regime franchista, siamo riusciti a creare una realtà realmente bilingue senza penalizzare – anzi – la crescita del territorio.
Madrid ha concesso ai Paesi Baschi un livello di Autonomia, finanziaria prima ancora che linguistica, che non ha eguali nel resto della Spagna e, probabilmente, d’Europa. Ma lei è realmente convinto che questo traguardo sarebbe stato tagliato senza le bombe, gli attentati e gli omicidi dell’Eta?
Senza ombra di dubbio. Il terrorismo dell’Eta non ha portato alcun risultato positivo per il popolo basco. Qualsiasi cosa toccava l’Eta si contaminava diventando sporca. Ed è stata la società basca che ha portato l’Eta a desistere da questa follia e arrendersi. L’Eta non uccideva in nome dell’indipendenza, si nascondeva dietro a concetti quali la liberazione dei Paesi Baschi per seguire un principio totalitario secondo il quale il fine giustifica ogni mezzo. Un abonimio in nome di un presunto nazionalismo basco, ma è del tutto scorretto identificare il nostro popolo con l’Eta.
Personalmente si sente basco, spagnolo, oppure prima basco e poi spagnolo?
Non ho dubbi, io sono e sarò sempre basco anche se è chiaro che mi senta piú vicino allo Stato spagnolo rispetto ad altri.
Nel suo Paese un’altra regione sogna non soltanto maggiori forme di Autonomia, ma l’indipendenza: la Catalogna. Secondo lei come andrà a finire il braccio di ferro tra Madrid e Barcellona?
Non lo so, ma certamente il Governo centrale dovrà quantomeno sedersi ad ascoltare le richieste di quel popolo perché la Spagna, in tutta onestà, non può permettersi – economicamente parlando –, di rinunciare alla Catalogna. Personalmente resto convinto che ogni Paese abbia diritto a scegliere la sua strada e il proprio futuro, ma non è detto che la stessa ricetta applicata a un’area valga allo stesso modo per altri territorio. Quello che conta realmente è contare su un ampio consenso della popolazione che supporti le politiche a sostegno di una tesi.
Torniamo alla tutela delle lingue. Che ruolo possono avere, al giorno d’oggi, le nuove tecnologie e i social network?
Sono fondamentali. Tablet, smartphone e internet sono parte integrante della vita delle nuove generazioni e una lingua che non è presente in questi settori è destinata a perdere, continuamente, punti. A tal punto che possiamo dire come, al giorno d’oggi, essere in rete e creare software appositamente dedicati conta molto di piú delle classiche e canoniche politiche governative di difesa e promozione degli idiomi.
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