Le creste delle Alpi Giulie accarezzate dal sole nelle opere di Micossi
Sabato 21 giugno si inaugura la mostra del pittore e incisore friulano, si potrà visitare fino al 28 settembre in Casa Ascoli

Le Alpi Giulie furono uno dei grandi amori di Mario Micossi, pittore e incisore (Artegna 1926-Gemona 2005), e Gorizia-Nova Gorica, nel 2025, è la più degna cornice per la straordinaria mostra allestita dalla Società Filologica Friulana in Casa Ascoli, che si inaugura oggi, 21 giugno, e sarà visitabile fino al 28 settembre.
L’artista, molto colto e attento alla storia della nostra regione e del suo contesto, si impegnò in una lunga visitazione delle Alpi Giulie non solo per la loro qualità estetica, ma anche per la loro posizione geografica, storica e linguistica: c’è un solo punto nel quale si toccano le tre grandi anime etnico-linguistiche che caratterizzano l’Europa – da nord, germanica, slava e latina –, e c’è una sola Chiesa che tutte le contenne per molti secoli nella sua metropoli: quella di Aquileia. È per questo che la mostra di Gorizia si apre con una veduta di alta suggestione: in primo piano il profilo della grande Basilica, sullo sfondo le Giulie, oggetti creati in tempi molto diversi.
Le Alpi Giulie, che con le Dolomiti sono le più belle montagne del mondo, soleva dire l’artista, furono la sua fonte di ispirazione in una lunga stagione creativa a partire dalla metà degli anni Ottanta, con esiti davvero esaltanti, presentati nel 1993 in una mostra allestita nella sua casa-studio, recensita da Celso Macor su “Alpinismo Goriziano”.
«È arduo trovare giuste parole – scrisse il poeta di Versa – per restituire la forza di emozioni che il pittore Mario Micossi ha offerto in una mostra troppo breve (due giorni) nella sua caratteristica casa friulana di Artegna. Due i grandi temi che hanno impegnato i suoi colori negli ultimi anni: le Alpi Giulie e l’Isonzo. Si tratta di disegni, graffiti, incisioni, ma soprattutto di acquarelli che segnano in impressioni intense il paesaggio alpino: creste, rocciose pareti verticali, voragini, nevai, valli fonde. L’invito di Micossi è sui sentieri alti della montagna giulia, che egli ha battuto per anni, per vederla e rivederla d’ogni parte, aspettando albe e tramonti, facendosi rapire da brividi di bellezza e di mistero, raccolti in schizzi brevi, in abbozzi di colore che poi avrebbe risolto in musica di memoria sciogliendo quel nodo natura-uomo che la colma dei sentimenti fa urgere all’anima dell’artista».
Dopo trentadue anni, una ventina di opere allora esposte ad Artegna, fra esse il drammatico “ritratto” dello Jalovec da sud in collezione nell’Albertina di Vienna, riappaiono ora a Casa Ascoli per iniziativa della Società Filologica Friulana, che ha voluto in tal modo onorare il grande Artista nel ventennale della morte e accrescere le “occasioni” di quanti visiteranno in estate la capitale della cultura europea per il 2025.
Il visitatore avrà modo di riempirsi gli occhi, la mente e il cuore guardando le montagne infiammate dal sole del mattino a est del santuario di Lussari, la Skrlatica che nel tramonto assume il colore rivelato dal suo nome, il maestoso enigmatico Triglau nella sua incombente presenza, e l’Isonzo che in quell’utero di roccia si fa strada fra compresse luci turchesi e smeraldine prima di aprirsi al grande sole adriatico della pianura friulana.
«Gli chiedo – scrisse ancora Macor – se ha concluso l’inno alle Giulie dopo lo splendore di quest’antologia, ma non sa dichiarare il distacco: «Quel mondo è senza fine. Ci vorrebbe una vita intera. C’è tanto da fare ancora». Ma chi lo farà? Salire le montagne, guardare la metamorfosi delle linee da nord a sud, il tramutarsi dei colori nei passaggi del sole, attendere le luci del crepuscolo per un appunto, un’emozione, quattro graffi sulla carta nera, qualche macchia di colore, da cui leggere poi e restituire, attraverso elaborazioni tormentate, la grandezza ed il mistero alpino è forse già impegno di tempi che non tornano. Micossi farà, sì, la campagna romana, tornerà a New York dove è di casa e dove la sua opera trova riconoscimenti altissimi, ma il cantore della montagna resta stregato da luci che riverberano dentro per sempre».
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