Gli Yalda a Sesto al Reghena: «Nell’oscurità alla ricerca della salvezza»

Giovedì 13 febbraio il duo sarà all’Auditorium Burovich per Thesis: «Suoniamo una sorta di post-punk mediterraneo»

Elisa Russo
Doppio appuntamento per gli Yalda in Friuli Venezia Giulia
Doppio appuntamento per gli Yalda in Friuli Venezia Giulia

«Suoniamo una sorta di post-punk del Mediterraneo», così si presentano gli Yalda, per la prima volta in regione, con una doppia tappa: giovedì 13 febbraio, alle 20.45 all’Auditorium Burovich di Sesto al Reghena e venerdì 14 febbraio, alle 20.30 all’Hangar Teatri di Trieste.

Entrambi i concerti, a ingresso gratuito, sono organizzati da Thesis nell’ambito del programma di Anteprima Dedica 2025 (prologo al festival che a marzo porterà lo scrittore iraniano-olandese Kader Abdolah), e in collaborazione con il festival Sexto ‘Nplugged e Hangar. La band è stata fondata nel 2020 a Genova dalla cantante italo-iraniana Lalé Kouchek (formazione lirica in conservatorio, ma da sempre attratta dal punk e hardcore) e dal polistrumentista (qui chitarra e campionatori) Bernardo Russo (Meganoidi, Cut of mica).

Bernardo, ci riassume la discografia degli Yalda?

«Abbiamo esordito con “Badam Zamini” una cassetta a numero limitato uscita per Taxi Driver, per la stessa etichetta, nel 2022, l’album di debutto “Tavallodi Digar” (un’altra rinascita). Dal vivo stiamo già presentando i brani che finiranno nel secondo disco, ci saranno in scaletta anche a Sesto e Trieste».

Lalé, il nome Yalda deriva dalle sue origini?

«Sono nata e cresciuta a Genova, da papà iraniano e mamma sicula, Yalda si lega bene ai nostri testi che parlano di oscurità ma con una ricerca di salvezza. In Iran durante la notte yalda (solstizio d’inverno) è tradizione tra le persone riunirsi dal più anziano della famiglia e banchettare tutta la notte attorno a un fuoco, c’è soprattutto frutta, nello specifico melograno che è simbolo del paese; si dice arrivino dei demoni oscuri e si aspetta l’arrivo dell’alba e quindi di ahura mazda, divinità benefica che riporterà la luce».

Come vi collocate all’interno del Dedica Festival?

«Siamo onorati di farne parte. Abbiamo notato un’estrema cura e attenzione nell’organizzazione, a livello culturale e musicale. Ringraziamo per la curiosità nei nostri riguardi».

Electro, dark, noise, ambient: si può definire la vostra musica?

«Preferiremmo non farlo, è complicato rientrare in un genere specifico. Io sono del ’91 ma ho avuto la fortuna di avere accanto un parente che mi faceva sentire Tom Waits, Nick Cave, Frank Zappa e poi sono passata a Massive Attack, Björk. Ci colleghiamo a una struttura trip hop, di sperimentazione elettronica, anche ambient, dark, tribale (ci sono elementi che richiamano a entrambe le mie radici, iraniana e sicula)».

La scelta di utilizzare per i testi il farsi, antica lingua persiana?

«Sono fan di Lili Refrain, che canta addirittura una lingua inventata o di Lisa Gerrad che mi aveva fatto innamorare con la sua “Persian Love Song” così all’inizio mi interessava il suono delle parole soprattutto, ho studiato tanto lirica, però trovavo l’inglese e l’italiano banale o limitante per certe sperimentazioni. Il persiano ha delle sonorità tutte sue, sono partita con i testi della poetessa Forough Farrokhzad».

Che rapporto ha con le sue radici iraniane?

«Sono cresciuta con mio papà che lavorava con i tappeti e con i suoi soci parlava sempre iraniano; vista la situazione che c’è in Iran, mi ha sempre tenuta un po’ lontana da quel mondo, ma ho voluto provare a riavvicinarmi, riagganciarmi a quella parte di me»

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