Con Ulderica Da Pozzo le montagne di ieri e di oggi negli sguardi e nei gesti
A Palazzo Veneziano a Malborgetto in mostra gli scatti della fotografa carnica. La resistenza della vita e il dissolversi inevitabile del tempo

C’è un filo sottile ma solido che unisce la fotografa Ulderica Da Pozzo con le comunità del Friuli Venezia Giulia: l’appartenenza alle terre di montagna e agli antichi mestieri, resi immortali attraverso le immagini e le testimonianze orali di uomini e donne di ieri e di oggi.
È in questa direzione che Ulderica Da Pozzo ha tracciato una memoria storica altrimenti dispersa, cercando negli sguardi e nei gesti una narrazione della montagna, la resistenza della vita e il dissolversi inevitabile del tempo. Dopo vent’anni dalla pubblicazione “Malghe e malgari”, Da Pozzo riapre il capitolo di quel mestiere ancora insostituibile che fa della nostra regione un principio assoluto di tradizioni, lavoro e storia.
Con la mostra “Passaggi: sul fil dal timp” al Museo Entografico del Palazzo Veneziano a Malborghetto, la fotografa ha esposto quarant’anni di scatti, testimonianze e frammenti scritti, dagli anni Settanta fino ad oggi. La mostra è promossa da Border Studio con il contributo della Regione , in collaborazione con la Comunità di montagna Canal del Ferro e Val Canale, la Cooperativa Malghesi della Carnia e Val Canale, la Comunità di montagna della Carnia e l’Università degli Studi di Udine ed è visitabile fino al 7 settembre da martedì a domenica (10.30-12.30 e 15-18).
Sono due le sezioni che compongono l’esposizione fotografica: la principale si esprime all’interno del Museo Entografico, nel quale fotografie e ricordi tracciano la storia di malgari di una volta con i giovani di oggi, portatori di rinnovamento e fedeli custodi del mestiere; la seconda, invece, è rappresentata da una serie di installazioni diffuse all’aperto in cinque malghe locali: Malga Zermula, Malga Gerona, Malga Pozôf, Malga Losa e Rifugio Chiadinas.
“Passaggi: sul fil dal timp” non è soltanto una mostra fotografica, ma uno studio attento che documenta i cambiamenti socio-culturali delle comunità montane, l’evolversi dei tempi tra nostalgia di un passato che ha solcato la terra e l’urgenza di un presente pronto a sostenere le nuove sfide della contemporaneità. Luoghi, animali, malghe abbandonate, vecchie latterie sulle quali si legge ancora l’insegna, molte delle quali sostituite nel tempo da alberghi o da sedi associative; distese di prati e sconfinate montagne, sono state la casa di donne e uomini, di intere famiglie.
Sguardi fieri, volti scavati dal sole e dalla fatica; strumenti da lavoro, simboli, dimore scure ed essenziali con al centro il calderone nel quale si svolgeva - e si svolge ancora - l’antico rituale che trasforma la durezza della natura in una fonte di nutrimento, di sostentamento e di profondità storica. Una sezione infatti è dedicata a Margherita che viveva nella località di Pani, luogo ricco di suggestioni e fermenti.
È lei la memoria femminile di quella terra, capace di vivere nell’essenziale dentro una “piccola stanza con caldaia del latte e il suo fogolar denso di fumo nero del fuoco, ma candida e splendente di bellezza autentica.” Perché Margherita “sentiva il tempo e la vita nel vento, nella luce e nelle foglie, come una vecchia e bella indiana…della tribù dei Carni”.
L’amore di Margherita per la sua terra è oggi riscontrabile in molte donne malgare, una delle quali è Alessia Berra dell’Azienda Zora a Platistisch nell’alta Val Torre: dopo aver conseguito gli studi universitari, ha deciso di tornare lassù, dove sua nonna le aveva insegnato il mestiere di malgara che le ha permesso di realizzare la sua azienda con un allevamento di cento capre.
Una pietra miliare della storia di montagna è anche la famiglia Adami con la figura di Eneo della malga Pieltinis "verso il Col Gentile a cavallo fra i monti di Sauris e le Pesarine" che insegnò ai figli e ai nipoti il rispetto degli animali e la vita in montagna, tracciando basi solide per un’azienda ancora oggi tra le più floride. Un dialogo mai interrotto, dunque, è il dono che Ulderica Da Pozzo consegna alla sua gente, facendo della memoria un atto di cura.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto