Comodin: «Ho girato nel giardino di nonna per sentirmi a casa»

Il regista friulano presenta il film in anteprima al Visionario. Il suo Gigi la legge al confine tra fiction e documentario

Elisa Pellegrino

Martedì prossimo alle 20 il regista friulano Alessandro Comodin presenterà in anteprima “Gigi la legge” al Visionario di Udine insieme al produttore Paolo Benzi, al protagonista Gigi Mecchia e altri membri del cast. Il film, premiato dalla giuria al Festival di Locarno, è appena stato candidato ai David di Donatello per il miglior documentario.

«Volevo tornare a casa – afferma il regista – e raccontare quello che in “L’estate di Giacomo” (il suo primo film) era fuoricampo, al di là dell'argine del Tagliamento. Così sono andato a girare nel giardino di mia nonna, un luogo che negli anni è rimasto sempre uguale e magnifico».

I giardini, le foreste, hanno sempre avuto una componente magica e misteriosa nella poetica del regista.

«Lì c’era mio zio Gigi, che si occupava delle piante, e mi sono subito divertito a immaginare una storia con lui come protagonista. È un adulto non adulto ed è sempre uguale, come il giardino».

Gigi è un vigile urbano di San Michele al tagliamento. La sua vita, all’apparenza monotona, un giorno viene scossa da un caso di suicidio. La cinepresa allora lo segue, attenta, cercando di ritrarre le sue reazioni, gli incontri che fa.

«Abbiamo bisogno della provincia, di tutte queste persone che sembrano ordinarie e che invece sono straordinarie».

La curiosità verso questo personaggio è forte, sovrasta quella sulle indagini, e spesso viene da chiedersi se ciò che si guarda sia reale o meno.

«C’è un fuoricampo enorme, molti piani sequenza. Volevo mettere lo spettatore in una posizione scomoda. Perché è tutto falso, ma è anche tutto vero».

In questo senso, è stata fondamentale la scelta della lingua.

«All’inizio delle riprese le persone tendevano a parlare italiano, anche perché è la lingua della televisione, poi però ho chiesto loro di esprimersi come volevano. Da lì è diventato tutto più libero e spontaneo».

Il risultato è un friulano che si mescola all’italiano, a volte con cadenza veneta. È familiare, credibile. A proposito del sonoro, Comodin ha deciso di non aggiungere della musica originale in accompagnamento alle scene, ma ha optato per due brani significativi.

«”Sono un pirata, sono un signore” di Julio Iglesias e “Amore disperato” di Nada. “Le canzoni sono come un personaggio, un attore o un luogo, sono degli oggetti che veicolano dei codici. E la canzone diventa storia, non è solo musica. Quella di Iglesias è arrivata proprio da Gigi e il suo collega, che si sono messi a cantarla in macchina. L’ho trovato interessante, perché lui sembrava proiettarsi dentro la canzone. Come se si sentisse un latin lover nostalgico».

Questo particolare mostra tutto il lato sperimentale di “Gigi la legge”, un’opera che procede senza un piano stabilito e che anzi vive di combinazioni di sensazioni spontanee.

«Siamo tutti insieme a vedere cosa succede nel mentre, a mettere le persone in luoghi precisi e scoprire le loro reazioni. Il film è come un esperimento intorno alla chimica delle persone, alle energie che la camera filma».

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