Ceschia, il “gatto rosso” maestro di giornalismo sempre contro corrente

LUCIANO SANTIN. Perché raccontarsi? Per il gusto del “fabulieren”. Perché «a mano a mano che si invecchia, si fruga sempre più nel proprio passato a scapito dei problemi, probabilmente perché è più facile rimestare ricordi che idee», risponde lui, con una citazione di Cioran appuntata in esergo alla sua autobiografia Il gatto rosso (soprannome legato alla zazzera peldicarota, e non solo).
Luciano Ceschia, un ragazzo di Trieste con branche familiari friulano-istriane. Con due nonni schierati su fronti opposti nella Grande guerra.
Che ha vestito con orgoglio l’uniforme balilla, si è sgomentato davanti ai ruderi anneriti dei villaggi bruciati dai nazifascisti, è stato in prima fila nei moti studenteschi del ’53.
Poi la maturazione di una coscienza di cattolico di sinistra («di quelli che bisogna ammazzare da piccoli prima che facciano danni»), e il ruolo da sindaco ombra negli anni in cui i morotei tentano di ricondurre alla normalità una città in bilico, redenta e riredenta, ma schiacciata, ferita e stralunata causa la politica dei blocchi.
Inevitabile, allora, che l’autobiografia racconti molto del “secolo breve” in queste terre.
Però l’attempato ragazzo (oggi è oltre gli ottanta) è stato anche un protagonista nel giornalismo.
Dagli esordi nei fogli scolastici, all’abbandono del Piccolo che non voleva stabilizzarlo, con la promessa, poi mantenuta, «ritornerò da direttore», alla Rai di Roma, alla guida di un altro quotidiano di frontiera, l’Alto Adige.
Una carriera che gli porta ad avere tra le sue amorevoli grinfie giovani di brillante avvenire (da Lilli Gruber a Paolo Rumiz, a Paolo Condò, oggi imperversante sui canali calcistici Sky), e che corre parallela all’impegno nel sindacato, con la “svolta di Salerno” e l’insediamento al vertice della Federazione nazionale della Stampa (di cui oggi è a buon diritto presidente onorario).
Un attivismo frenetico, su più piani, che inevitabilmente lascia poco tempo per le mura domestiche. «Una domenica mattina», racconta Ceschia «mio figlio più grande, Piero, accompagnato dal fratellino Alessandro, si presentò in camera da letto dove dormicchiavo e, rivolgendosi a Maria Grazia, disse una frase rimasta nell’archivio della famiglia: “Mamma, chi è quel signore che dorme con te?”».
Ce ne sarebbe stato per riempire tomi, invece di questo agile e accattivante libretto. Ma il giornalismo insegna che la leggibilità è funzione della lunghezza, e rende capaci di sintetizzare e restituire per allusioni e tratteggi brevi quanto illuminanti.
La prosa, limpida, scorrevole, mai corriva, alterna il registro dell’ironia a quello della descrizione cronistica, abbandonandosi a qualche momento di tenerezza e di lirismo, come quando parla di Križ-Santa Croce, il paesino carsico da cui oggi contempla il mondo.
Ad animare le pagine de Il Gatto rosso, un godibilissimo puppenspiel: giornalisti che saranno noti quasi solo ai colleghi, ma anche personaggi che hanno segnato, nel bene e nel male, decenni di vita politica nazionale. Ci sono Pajetta e Piccoli, Spadolini e Berlusconi, Andrea Rizzoli e il figlio Angelo e Bruno Tassan Din, entrambi piduisti, che gli affidano il Piccolo.
«Cosa avevano da spartire con la P2 i due personaggi che avevo conosciuto io, in circostanze molto diverse?», si chiede Ceschia. «Sono andato a rileggere il mandato politico-editoriale ricevuto dal Gruppo. “Nell’assumere il compito – si legge nella lettera firmata da Tassan Din – Ella si rende garante nei confronti dell’editore della continuità della linea politica de Il Piccolo volta all’affermazione dei valori democratici, alla difesa della Costituzione repubblicana e del patrimonio morale del Paese, alla riconferma della tradizione antifascista”».
Ma l’arrivo di Ceschia, visto come un “normalizzatore” inviato da Roma viene vissuta male dalla redazione, e da una città dove la protesta contro il trattato di Osimo ha fatto esplodere il fenomeno del “Melone”.
Ne farà cenno addirittura Giulio Andreotti in un consiglio nazionale della Dc. «Ci riferiscono che a Trieste viene ostacolato l’insediamento alla direzione del Piccolo di Luciano Ceschia perché democristiano; per la verità non ce ne eravamo mai accorti, ma ciononostante ritengo doveroso esprimergli solidarietà» (quasi trent’anni dopo, alla festa per il centenario della Fnsi “Belzebù” lo saluterà chiedendo: «Dov’è che fa danni, ora»?).
È un’ovvia strenna natalizia, Il gatto rosso. E, volendo azzardare una metafora, forse potrebbe essere proprio quella del Tannenbaum: un fusto ben ramà - per dirla con Cergoly - decorato con piccoli e vivaci cammei, illuminato da un brilluccichio di aneddoti. In alto, la stella di un amore critico, ma inesausto per la sua terra e la sua gente.
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