Cerno: il fascismo resiste nel dna di tanti italiani

La storia siamo noi. La storia è il passato che condiziona il presente. La storia ci dice chi eravamo, chi siamo e chi saremo. Citazioni di grandi pensatori o luoghi comuni improvvisati che siano, rispondere è secondario. Perché, checché se ne dica, la storia è per noi dannatamente importante.
E lo è in quanto ci ha formati e ci forma a successi ed errori, ci indica le strade da ripetere e quelle da sbarrare, ci propone ricordi ed esempi da inseguire o da cui fuggire.
E mille altri motivi, tutti micro-cellule di un organismo trasparente che pervade intimamente la nostra essenza presente, condizionando essere e agire in virtú dell’attrazione verso ciò che è stato e ciò che è stato fatto, “Midi-chlorian” li chiamerebbero commossi gli amanti di Star Wars.
Presenti in tutti, riconosciuti consapevolmente in pochi, accettati e raccontati da pochissimi. Perché è difficile ammettere di non essere riusciti a cambiare il passato, il macigno che ogni innovatore si porta nel piú pesante dei sidecar, ogni semaforo un fallimento.
Ma se la luce rossa fosse voluta piuttosto che imposta? O meglio, se la luce diventasse verde, e fosse invece il conducente a decidere di rimanere fermo? Chi guida è il popolo italiano, la strada su cui fermarsi è il fascismo, chi racconta è Tommaso Cerno con il saggio “A Noi!”, presentato in un botta a riposta con il caporedattore de Il Piccolo, Marco Pacini, in occasione della giornata conclusiva di LibrINsieme (prima edizione della rassegna promossa nell’ambito di Idea Natale dalla Fondazione Pordenonelegge.it con Udine Gorizia Fiere).
Il giornalista firma de L’Espresso e direttore del Messaggero Veneto, parafrasa il saluto fascista come archetipo ammonitore di un odierno salve, simbolo di un’esperienza che ha temprato a tal punto gli italiani da rimanere insita in un substrato piú o meno conscio di comportamenti mistificati e che spesso si tende a negare. Il sottotitolo riavvolge il filo rosso: “Cosa ci resta del fascismo nell’epoca di Berlusconi, Grillo e Renzi”.
Ma a parte il fatto di dover registrare il successo di una presentazione che ha riunito in Fiera un pubblico anche di molti giovani, ciò che preme sottolineare è il fatto che questo libro offre ai lettori un approccio del tutto diverso e particolare, e l’incontro a LibrINsieme è stato un momento da vivere per tutti, da studenti appassionati di fronte a un professore appassionato, lasciando per una volta dietro le quinte il ruolo troppe volte commissionato e interpretato dell’allievo passivo, scolaretto di massa.
«È un libro che spezza la noia - ha esordito Pacini - non un semplice riassunto di vicende politiche nascoste». Cerno racconta una storia che in fin dei conti stiamo ancora vivendo e scrivendo, di una componente della nostra personalità ancorata ai princípi del regime e che difficilmente riesce a essere repressa. Inavvertitamente certo, in buona fede ovvio, ma la accettiamo, riproponendo con gradazioni diverse di inconscia spavalderia gli stessi schemi e le stesse impalcature, crollate definitivamente solo nella forma.
«A noi italiani non interessa della fine del fascismo, perché in realtà non è mai finito»: cosí il direttore firma l’epitaffio a caratteri forti di un fenomeno storico, vero in ogni contesto. A partire dal mondo della politica, dove i punti di contatto tra le esperienze del Duce e i moderni leader sembrano quasi creare un sequel, a tratti tragico, a tratti comico, inondando, tanti sono gli esempi, le 240 pagine del volume edito con successo da Rizzoli.
«E cosí anche per la burocrazia - ha osservato, incalzante, Cerno - onda lunga degli apparati fascisti, che si decide di mimetizzare nella democrazia; e lo stesso ragionamento vale per il rapporto con i mezzi di comunicazione e per il culto dell’immagine» (e chissà quanti leggendo ora del Duce stanno in realtà pensando a tutt’altro).
Pacini completa il dialogo con l’autore e fornisce la chiave di volta dell’opera: «Il protagonista del libro non è tanto questo o quel leader politico, ma è proprio il popolo italiano». Una comunità bifronte, tra affermazioni ideali e solo formali di pluralismo d’opinione, destinate a soccombere a concreti e unanimi conformismi, primadonna in una soap alla sua replica numero settanta. È l’italiano che attivamente si pone come soggetto passivo del testamento totalitario, auto inseminazione di un genoma colorato di nero, modus operandi nato nel Ventennio e mai piú abbandonato.
La lettura e il tema sono per definizione provocatori, vogliono stuzzicare per invogliare alla critica ragionata e orgogliosa, un ritratto senza fronzoli o false verità, con quella brutalità che per Dorian Gray fu letale. È un esame quello richiesto, prova cosí difficile perché quotidiana, ma il manuale è stato scritto, sta ora al singolo studente decidere se e quando affrontare la prova.
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